Tra identità spezzate e amori brucianti: l’universo narrativo di Laeli Laroch
In un mondo dove la scrittura sa ancora essere rifugio, resistenza e rivelazione, noi de L’Epoca Culturale abbiamo avuto il piacere di dialogare con Laeli Laroch, pseudonimo di Elisabetta Rocchietti, autrice del romanzo La certezza del Bonne Nuit. Un titolo che è già poesia, una promessa sussurrata nella notte, che si fa trama viva, personaggi intensi e parole che pulsano di desiderio, identità e riscatto.
Tra adrenalina e introspezione, rabbia e amore, Rocchietti ci accompagna in un racconto che è anche un viaggio generazionale, esistenziale e profondamente femminile.
- Elisabetta Rocchietti, il titolo del suo romanzo è un’intera dichiarazione poetica: “La certezza del Bonne Nuit”. Una certezza che si costruisce nella notte, nel desiderio, nella caduta e nella rinascita. Quanto è importante per lei, anche come donna e non solo come autrice, dare un nome alla speranza?
È fondamentale. La speranza è quella parte di sé che ti spinge ad andare oltre al dolore, alla felicità, alla difficoltà e alla quotidianità, mette in moto il meccanismo di non arrendersi e provare.
- Nel cuore della narrazione incontriamo Madison, detta Didi, ed Ethan: anime tormentate, piene di contrasti, che si amano e si feriscono in egual misura. Didi, ad esempio, dice: “Quando guido è come se dei demoni prendessero possesso di me” è una confessione, ma anche un grido di libertà. Come ha costruito questo doppio registro emotivo, tra dolore e adrenalina, tra rabbia e romanticismo?
Questa dualità fa parte del mio carattere, ho riversato in Madison le mie emozioni e ho creato questa personalità determinata ma allo stesso tempo estremamente tormentata dai suoi dubbi. Anche Ethan se analizzato ha questa dualità, il ragazzo sfacciato e a volte arrogante che internamente lotta costantemente che le proprie dipendenze. Sono personaggi reali ed imperfetti.
- Il romanzo è costruito nell’alternanza dei punti di vista di Ethan e Didi, fondendo pathos e tensione sensuale con un realismo quasi cinematografico. Si riconosce in questa linea narrativa, o ha voluto distaccarsene consapevolmente per trovare una sua voce?
Mi riconosco molto in questa linea narrativa anche se in verità questa presa di visione è avvenuta dopo. Provengo da un mondo tecnico e mantenere la costanza nell’alternanza dei capitoli, lo trovavo fondamentale. Come era fondamentale scindere i due punti di vista, maschile e femminile. Madison doveva rimanere forte mantenendo delle sfumature dolci, Ethan non doveva perdere la sua aurea da maschio alfa. Stranamente mi era più facile scrivere di Ethan e mio marito mi ha subito preso in giro dicendomi “Ovvio, ho spostato un maschiaccio”.
- Uno dei temi più forti e presenti nel suo lavoro è quello dell’identità. Didi è barista, studentessa, pilota notturno sotto il nome maschile di Max. Si maschera e si rivela continuamente. È una metafora dell’essere donna oggi? O è più semplicemente il riflesso di una generazione che per farsi vedere deve prima sparire?
Non è assolutamente una metafora dell’essere donna. Le donne di oggi devo essere polivalenti, saper fare di tutto, l’indipendenza è la base di ogni individuo e dovrebbero essere pienamente coscienti di questo. Non è nemmeno un riflesso delle generazioni di oggi che sono fin troppo in mostra, basti pensare ai social. In verità è l’esatto opposto. Didi non vuole spiccare in una società fatta di superficialità e principi banali, vuole rimanere se stessa e se per farlo deve “camuffare” il suo aspetto, ben venga perché il suo carattere non cambierà e nemmeno le sue idee o i suoi obiettivi. Nella vita odierna si da troppa importanza all’apparenza senza scavare nel profondo, tutti sono pronti a giudicarti se non hai un taglio alla moda, i vestiti in un certo modo o le unghie ricostruite; tutti pronti a dirti COME essere ma nessuno a vedere CHI sei, l’aspetto muterà con gli anni, come le mode, ma chi siamo, quello non cambierà mai ed è ciò che conta.
- “Ho la percezione che sarà stupendo, e mi addormento sentendomi come la regina di Francia nella sua Versailles” scrive Didi sognando il Bonne Nuit. È un passaggio del suo romanzo in cui si evince l’oscillare ben calibrato tra un’aspra realtà e una dimensione da fiaba metropolitana. Questo equilibrio è cercato o nato spontaneamente?
È pienamente cercato, il Bonne Nuit è un sogno, Madison lotta con tutte le sue forze per crearlo ma mantiene i piedi saldi a terra sapendo che potrebbe non realizzarsi mai, per questo si concede di smarrirsi nei sogni e in quella vita che crede le possa dare la pace che cerca ma che in verità si accorgerà da sola che le cose importanti sono altre. Si renderà conto verso la fine del libro che quello che conta davvero nella sua vita è il non dimenticare un amico scomparso, la famiglia, i sentimenti, quello le darà la serenità a cui tanto ambisce, poter aiutare coloro a cui tiene e non i mattoni di un edificio.
- Il contesto universitario, la California luminosa, le corse notturne, la violenza trattenuta o sfogata nei corpi e nei dialoghi: tutto contribuisce a creare un’ambientazione quasi da graphic novel. Se “La certezza del Bonne Nuit” fosse un film o una serie, che stile visivo avrebbe? Ha immaginato dei volti o delle voci precise per i suoi protagonisti?
Una persona a me cara, leggendolo mi ha detto “sarebbe un film perfetto” e mi ha lusingata. Ho iniziato da subito ad immaginare i personaggi: Madison è bionda, tatuata, forte, vedrei nella sua parte una Chloe Grace Moretz. Ethan è il classico bel ragazzo dall’aria dannata, tatuato ma con un’anima d’oro, vedrei bene Colson Baker anche perché è molto alto e l’altezza è fondamentale nel personaggio. Poi c’è Rich, altro personaggio fondamentale di tutto il romanzo, vedrei bene Wentworth Miller. Insomma un bel cast. Come ambientazione intervallerei giornate spensierate in una California luminosa a notti profonde e buie, in angoli della città in parte decadenti, l’ennesimo dualismo, in modo da spiazzare il pubblico.
- Elisabetta, lei viene da una formazione tecnica, vive immersa in un mondo “strutturato”, fatto di edifici e numeri. Eppure, scrive storie che si muovono nel caos dell’anima. Come convivono questi due universi dentro di lei? La scrittura è un rifugio, una controparte, o un ponte tra il quotidiano e il possibile?
Mi sono definita un’anima tormentata alla costante ricerca della mia quiete e in parte l’ho trovata, con mio marito Marino. Lui è la mia calma, il lato razionale del mio essere. È stato lui a spingermi a scrive, a provarci ed è lui la prima persona che legge i miei scritti. La dedica a inizio libro “Ogni libro che scriverò, sarà sempre e solo per Te” è per lui e sarà la stessa in ogni mio lavoro. Questo mio tormento funziona da ponte, quello che provo lo scrivo, creo vite su carta delle quali posso tirare le fila, farli soffrire, star bene, ribellarsi. Scrivere è il mio sfogo, quello che mi fa stare meglio, nero su bianco posso scrivere cosa vorrei urlare ma che a volte non si può.
- Il titolo “La certezza del Bonne Nuit” non è solo evocativo, ma si rivela centrale nella trama, come se contenesse una promessa o una tregua nell’inquietudine emotiva dei personaggi. Che cosa rappresenta, realmente, questo “Bonne Nuit”? È un luogo, un rifugio, un’illusione? E quanto è importante, per lei, il titolo come elemento narrativo e simbolico dell’intero romanzo?
Il Bonne Nuit è un rifugio, il luogo dove le maschere della quotidianità cadono e le persone finalmente possono essere loro stesse. Per Madison rappresentava la svolta, poter finalmente dimostrare quanto vale, nel gestirlo, nel crearlo. Per Cody avrebbe rappresentato la libertà di essere sé stesso, un qualcosa a lui negato. Per Rich rappresenta un motivo per tornare a far parte della vita di Madison, la ragazza che non ha mai scordato e per Ethan è il luogo che gli ha sottratto la sua ragazza. Molti significati in un semplice luogo. Il titolo è fondamentale, trovare la giusta combinazione di parole è complesso. All’inizio era nato con come “Il Bonne Nuit”, ma sentivo che mancava qualcosa e non mi convinceva, poi dopo la prima rilettura ho deciso di aggiungere il termine “certezza” perché per la protagonista, quel locale, rappresenta la sola luce che vede nel caos che la circonda.
- Il suo libro parla di ribellione, traumi, segreti familiari, ma anche di desiderio di riscatto. Non a caso Didi dice: “Sono stufa di fare questa vita. Voglio realizzare il mio sogno e chiudere con il mio passato.” Quanto sente sua questa affermazione? C’è un messaggio che ha voluto affidare a chi, come lei, sta cercando la propria via d’uscita?
Sono alla costante ricerca del mio riscatto dal punto di vista lavorativo. Non sono soddisfatta della mia vita, come Madison, cerco la soddisfazione personale e sono certa che prima o poi la troverò. Sempre come lei, sono consapevole che la scrittura è un sogno, un po’ più difficile da realizzare che non il Bonne Nuit, quindi non mi illudo ma continuo a persistere. Il messaggio che spero di essere riuscita a inviare è quello di non arrendersi, come ho detto, ci sono sogni complessi, ma se non si prova, non si saprà mai il risultato, positivo o negativo che sia. Sono convinta che il percorso valga tanto quanto il risultato finale. La paura molte volte ci frena e per questo che ho aggiunto alla fine libro la frase di Sören Kierkegaard:
“Quando sei sull’orlo di un precipizio, guardando giù nell’abisso, hai due volte paura. Una volta per la consapevolezza che si potrebbe cadere e perire. E una volta per la consapevolezza che la scelta se restare o saltare è, in ultima analisi, tua.”
- Dopo “Chi ti addormenterà” e ora “La certezza del Bonne Nuit”, viene naturale chiederle: che autrice sta diventando Elisabetta Rocchietti? E dove desidera portare il lettore con le sue prossime storie ancora tra amori brucianti e identità spezzate, o verso nuove forme di racconto?
Mi sono resa conto che sto migliorando nello scrivere, mi accorgo da sola che la mia scrittura sta diventando più profonda e grammaticalmente complessa, questo è già un buon passo per invogliarmi a non mollare. Sicuramente parlerò di amore e sentimenti perché sono le cose in cui credo e li trovo nelle mie corde. I miei personaggi saranno sempre spezzati perché sono reali, quando puoi immedesimarti in loro, ti senti meno solo. Continuerò a scrivere di ragazze bionde, ci saranno degli intrecci e proverò a rendere ancora più reale la storia. Mi addentrerò di più nei romance e spazierò nelle varie sottocategorie che li caratterizzano. Sto lavorando a una nuova storia che pian piano sta prendendo la sua strada e vedremo cosa succederà.
L’Autore Giancarlo Falleti è rappresentato dall’agenzia Sopralerighe di Marylin Santaniello
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