“Quaderni di_versi”: il racconto di due voci che si cercano tra parole e disegni
Parole e disegni si intrecciano in un dialogo familiare che profuma di ricordi, radici e libertà.
Alessandro e Alessia Regazzoni , padre e figlia, trasformano emozioni, luoghi e legami in un racconto a due voci dove la diversità non divide, ma unisce.
In Quaderni di_versi la scrittura si fa carezza e le illustrazioni un’eco silenziosa che amplifica le parole.
Un progetto intimo ma che sa parlare a tutti.
Un’intervista doppia a cura de L’Epoca Culturale, per entrare nel cuore di un libro che nasce in famiglia ma appartiene a tutti.
- Alessandro, Alessia, partiamo dall’inizio: com’è nata l’idea di scrivere insieme Quaderni di_versi? È stato un progetto pensato da subito a due voci o si è costruito nel tempo?
Alessandro: L’ idea originale, da cui è nata poi il progetto di questo libro, è mia e nasce poco dopo l’inizio del COVID. In quei lunghi momenti di domicilio coatto sanitario stavo cercando di rivitalizzare la mia paginetta senza arte né parte di Facebook. Pagina nata anni prima, per il primo libro, ma che in conseguenza dei miei notevoli e comprovati limiti come social media manager, avevo presto lasciato al suo destino. In pratica pubblicavo piccoli frammenti, ricordi, raccontini più per me che per il mio inesistente pubblico. Una sorta di quaderno di appunti, senza pretese. Mi sono reso conto, fin dalle prime pubblicazioni, scollegate fra loro e discontinue, che qualcuno prestava attenzione a ciò che via via andavo pubblicando. Ad un certo punto è subentrata la necessità, anzi forse la voglia di rendere più organici e accattivanti quei post. Essendo io negato con la fotografia e con l’ uso dei computer, fatico a creare abbinamenti fra testi e immagini che risultino particolarmente efficaci e suggestivi. Così ho cercato un’ altra strada. In pratica ho letteralmente lanciato un SOS ad Alessia, chiedendole di farmi da lettore-beta e di abbinare ai vari racconti qualche schizzo a sua scelta, per la pubblicazione sui social.
Diciamo che l’ inizio è stato un po’ frutto del caso e della mia voglia di illustrare quei miei post in maniera diversa dai soliti selfie, o peggio, dalle terribili immagini I.A. che ormai spopolano ovunque. Dopo circa un anno e mezzo di post a ruota libera, ho capito di avere un bel po’ di materiale che, in pratica, stava cercando di raccontare una storia. Così ho deciso di pubblicare, in self-publishing, i miei racconti, illustrati da Alessia. Posso dire che la voglia di farlo diventare un lavoro a due voci ha preso il sopravvento, dal momento in cui ho cominciato a dare organicità alla narrazione. A quel punto mi è sembrato un obiettivo naturale.
Alessia: Io, in realtà, era da molto tempo che speravo di poter disegnare ‘professionalmente’. Volevo mettermi alla prova, ma non si era mai presentata l’occasione. Poi è arrivato papà con i suoi racconti buttati lì su Facebook, inizialmente senza un apparente filo conduttore, ma già con dentro qualcosa che mi stimolava. Nonostante le difficoltà, da subito è stato bello lavorare così, un post alla volta, in modo molto spontaneo. E poi, pian piano, è diventato qualcosa di più concreto.
- Il vostro libro gioca con la forma autobiografica ma tocca temi universali: il ritorno, il lutto, la memoria. Come avete scelto i racconti da inserire? E quanto di personale c’è, davvero, in queste pagine?
Alessandro: Con l’ artificio della formula autobiografica, di fatto, racconto episodi della mia famiglia, tutti reali e non romanzati. Ma come fai giustamente notare, i temi che affronto sono temi universali che, a vario titolo, in varie declinazioni, ogni individuo può incontrare nella propria vita. Voglio aggiungere però, che questi temi li sfioro e li tocco sempre con pudore, a bassa voce. Non do soluzioni nè indico alcuna via. Per carità. Lascio tracce, cerco di incuriosire e mi limito a dire: “se ti va, lettore, fai un tratto di strada con me, perché voglio raccontarti una storia”. Una piccola pietra d’inciampo, sulla strada della vita. Sarà poi eventualmente Lui, il giudice supremo/lettore a riconoscersi, o meno nel mio percorso. Infatti in un passaggio del libro più o meno dico: “ i miei testi vogliono solo essere didascalie di un album di ricordi. Le fotografie, se vi và, portatele voi”. Un’ ultima precisazione, nel lavoro di squadra tra me e Alessia il discorso dei testi, quindi dei racconti, partiva sempre da me, mentre per quanto riguarda i disegni, oltre a sottoporle ogni racconto le davo solo qualche indicazione generica su cosa mi aspettassi da lei. Su ogni fase della parte grafica l’ ultima parola è sempre stata la sua. L’ unica occasione in cui traduco io in forma di testo alcuni pensieri di Alessia è un singolo racconto in cui il risultato si può considerare una onesta mediazione tra il suo pensiero e la mia parola scritta. (Non faccio spoiler, trovatelo voi il testo in questione) Non è stata operata una vera e propria scelta preventiva riguardo ai temi affrontati. È stato un fluire di ricordi tornati a galla a briglia sciolta. Poi è accaduto tutto di conseguenza. Ogni ricordo ne rievoca altri, e così via. Fino a quando ho deciso di mettere il punto finale. Ogni episodio, ogni racconto contenuto nel libro, ribadisco, è rigorosamente vero e documentato dai ricordi di tutti i componenti della mia famiglia. L’ unico che per motivi di età, purtroppo ha dimenticato molto dei fatti narrati, che lo riguardano, è Andrea ( il mio secondo figlio) poiché all’ epoca dei fatti raccontati era piccolo. A proposito di Andrea, ora sì, faccio un piccolo, innocuo spoiler. Egli compare in un cameo, anche in veste di disegnatore. Uno degli scopi di questo libro è proprio quello di offrire ai miei figli una capsula del tempo dove all’ occorrenza, quando saranno grandi, potranno riposare un po’ della loro storia.
Alessia: La storia, così come la trovate nel libro si compone di episodi, frammenti di ricordi di papà. Ci siamo io, Andrea e la mamma. Ma soprattutto ci sono i miei nonni paterni. Il racconto copre l’intera vita di papà, sia con episodi divertenti e bizzarri che con quelli più tristi. Io ho contribuito a raccontare molti di quei ricordi, disegnando, ma molti altri di quei momenti sono presi dalla mia stessa infanzia. Posso tranquillamente dire di essere coautrice del libro e coautrice di una parte delle storie raccontate. Semplicemente con un contributo diverso dalla scrittura.
- Alessandro, tu scrivi da tempo, ma questa è la prima volta che pubblichi con tua figlia. Cosa ha cambiato nel tuo modo di pensare la scrittura questa collaborazione familiare?
Alessandro: Sicuramente, scrivo da parecchio tempo, direi fin da ragazzino. Per gran parte della mia vita però non ho mai sentito la necessità di fare leggere a nessuno i miei fogli. Poiché la vita è un continuo mutare, anche questa mia ferrea convinzione, con la vecchiaia, ha lasciato il posto ad una linea più morbida e possibilista. Infatti oggi mi trovo qui a parlare con te di questo libro. Di questo lavoro a quattro mani, portato a compimento con mia figlia. Direi un bel cambio di direzione. Pensandoci bene, quest’ opera ha stravolto il mio modo di intendere la scrittura nella forma, più che nella sostanza. Se la sostanza resta sempre immutata, cioè raccontare al meglio delle mie possibilità una storia, cercando sempre la parola più giusta e sincera, posso davvero confermare che questo lavoro ha stravolto la forma.
È stato bello, pur nelle molte difficoltà tecniche e nelle dinamiche padre -figlia, lavorare con Alessia. Anche se questo ha comportato il mettere a nudo tanto di me, senza orpelli o sovrastrutture. Le difficoltà di cui parlo, là dove si sono presentate, sono state di carattere tecnico e organizzativo. Ad esempio riguardo alle tempistiche delle mie richieste, che mai combaciavano con i tempi di realizzazione dei lavori da parte sua. Per il resto una volta che ho superato e accettato il discorso di mettere nero su bianco aspetti molto intimi ed anche travagliati della mia vita, avendo Alessia come prima lettrice, tutte le altre complicazioni si sono rivelate gestibili e secondarie.
- Alessia, tu studi psicologia, ma ti esprimi anche con l’illustrazione e il disegno. Come hai vissuto l’idea di illustrare i testi di tuo padre? È stato un dialogo semplice o ci sono state differenze da armonizzare? Come nasce il rapporto tra testo e immagine in Quaderni di_versi? Hai scelto le grafiche pensando a ciò che le parole suggerivano o hai seguito un tuo percorso autonomo? E tu, Alessandro, quanto conti su queste illustrazioni per esprimere ciò che le parole non dicono?
Alessia: Io sono una persona che spesso agisce d’impulso, seguendo le emozioni del momento, e questo è stato probabilmente l’aspetto più difficile da far capire a mio padre. Lui arrivava con due o tre testi pronti, me li faceva leggere, dopodiché iniziava a fare l’elenco delle sue richieste. Il tutto entro “ieri” “. Aveva fretta, sempre. E io e la fretta non andiamo molto d’accordo. Anche se qualcuno può definirla pigrizia, io preferisco dire che aspetto l’ispirazione. Non riesco a farla arrivare a comando ma quando arriva, allora posso passare anche diverse ore a disegnare. Ma dev’essere il momento giusto. Questo diverso modo di approcciarsi alle tempistiche sono state, di gran lunga, le cause delle discussioni più lunghe e sofferte. Per papà. Nonostante questi piccoli casotti, disegnare per lui è stata un’esperienza intensa. Sono appassionata di manga, fumetti e libri illustrati, quindi trovo che l’abbinamento tra parola scritta e disegno genera una forza unica. In questo lavoro, per me, ogni illustrazione è una traduzione emotiva del testo, non una semplice “decorazione”. È con questa chiave di lettura che secondo me, ogni lettore può creare il suo dialogo fra immagine e parola per sentire questa storia anche un po’ sua.
Alessandro: per me i disegni realizzati da lei sono fondamentali nel contesto complessivo della narrazione. Abbiamo cercato di creare un percorso di parole e immagini, per rendere, se possibile, da entrambe le prospettive il senso più intimo e completo della narrazione.
- Nel retro del libro si parla di scrittura “a mano libera”, di un cammino non lineare, quasi come in un taccuino d’anima. Quanto conta per voi la libertà espressiva, anche rispetto agli schemi della narrativa tradizionale?
Alessandro: Io da sempre sono un lettore assiduo di narrativa e di Letteratura. Posso dire che la mia narrazione vuole essere anche un piccolo omaggio a quegli scrittori che a vario titolo hanno influenzato me e la mia scrittura . Nel dettaglio poi, lo schema che abbiamo deciso di seguire appare chiaramente atipico, rispetto ai canoni classici. Questa particolarità, potremmo definirla la mia, anzi la nostra voglia di seguire strade diverse dai classici e dai mostri sacri della scrittura di ogni tempo. Oserei dire che abbiamo portato la narrativa e l’ arte grafica al livello di una rapsodia, per fare un parallelismo musicale. Linguaggio diversi uniti per creare qualcosa che possa essere sintesi e spunto. Proposta e scommessa. Pur rimanendo saldamente nel binario di una buona storia, raccontata bene.
Alessia: Per me la libertà espressiva è tutto. È ciò che permette di aprire davvero la mente, di lasciar fluire la creatività senza troppi paletti o limiti. Solo così, penso si possa fare arte in modo autentico. Se nel processo di creazione si rompono alcuni schemi, è semplicemente perché era giusto così, perché quello schema stava diventando un limite o, magari, stava solo rallentando qualcosa che doveva venire fuori in un altro modo. Nel libro, questa libertà si sente sia nei testi e nelle immagini. La ‘trama’ non è lineare, come purtroppo la vita spesso non lo è. Di riflesso, anche i segni non potevano essere puliti e precisi. Posso dire che il racconto (parole e disegni) lascia spazio a chi legge di perdersi tra le pagine per poi magari ritrovare in un disegno o in una frase, qualcosa del proprio vissuto.
- Uno dei fili conduttori del libro è la memoria, il radicamento a un luogo (la Valle di Ledro) ma anche alle persone care, ai figli. Quanto è importante per voi raccontare il legame tra terra, tempo e identità?
Alessandro: Rispondere a questa domanda, da parte mia e di Alessia, probabilmente, contribuirà a mettere in risalto le ovvie differenze generazionali tra padre e figlia. Per quel che riguarda me, semplicemente faccio parte per questioni anagrafiche di quella generazione che ancora ha come marchio indelebile della propria identità, i luoghi. Che siano la città natale, il luogo della villeggiatura (termine non facilmente comprensibile per un millennial, lo comprendo), o semplicemente un luogo del cuore di altra natura. Quelli della mia generazione inoltre hanno imparato a battere il tempo della vita ad un ritmo diversissimo da quello in vigore oggi. Il tempo era un’ unità di misura elastica: aveva momenti velocissimi che si alternavano ad altri contratti fino al limite dell’ immobilità. La noia, ad esempio, non era vista come un contenitore da riempire a qualunque costo con infinite attività ludico didattiche. La noia era funzionale allo sviluppo dell’ individuo che, lasciato libero di esprimersi e di trovare da sé come occupare il suo tempo, si attiva e inventava, creava l’ attività con cui impegnarsi. Oggi i tempi sono e devono essere frenetici, sincopati. Non ci devono essere momenti morti, la noia è un tabù e la società è troppo liquida e priva di punti di ancoraggio emotivi per cui un luogo vale un altro. Un luogo è se va bene, sfondo per un selfie. Da questa piccola analisi parziale e probabilmente fallace delle differenze tra generazioni sono voluto partire per confezionare questo libriccino nel quale auspico soltanto che i miei figli trovino e vivano il loro spazio e la loro identità nel loro tempo, che è il presente. Semplicemente però ricordando loro che quello che sono, e che saranno domani, ha delle radici profonde e lontane. Avere coscienza, e memoria , del proprio passato rende l’ individuo una persona migliore, salda e forte.
Alessia: La memoria, che sia individuale o collettiva è una parte fondamentale di ciò che io sono le persone. Non è qualcosa di statico, da tenere su un archivio, ma qualcosa che ci influenza ogni giorno, nei pensieri, nei gesti, nelle scelte. La memoria dice all’individuo chi è e da dove arriva. Avere un buon rapporto con i propri ricordi significa anche saperci fare pace: accettare quello che è stato. Affrontare i dolori, magari chiudere vecchie cicatrici, ma senza dimenticarle. La memoria, i legami con la terra, con i “luoghi del cuore”, sono tutti tasselli che ti aiutano a diventare più consapevole e completo. Se perdi quel filo, rischi di sentirti sempre un po’ sospeso, incompleto. Io considero questo libro una specie di nodo al fazzoletto, per conservare qualcosa della storia della mia famiglia. Per tenere traccia di fatti accaduti anche e soprattutto prima della mia nascita. Mi viene da dire che questo libro è per me una mappa, e anche se questo libro è, in apparenza, una mappa di racconti “personali”, basta cambiare i soggetti, sostituire un’esperienza negativa o positiva con un’altra simile, ed ecco che chiunque può riconoscersi nelle emozioni che attraversano le pagine: il dolore, la solitudine, la nostalgia. L’obiettivo non è raccontare una biografia, ma creare uno spazio emotivo condiviso. Attraverso le nostre memorie, il lettore è invitato a riattivare le proprie, a rivivere certe sensazioni che, pur declinate in modi diversi, ci appartengono tutti.
- Come vivete il rapporto generazionale dentro e fuori dal libro? Nella scrittura vi siete sentiti più complici o più specchio di due modi diversi di vedere il mondo?
Alessandro: anche su questa bella domanda, forse emergeranno differenze sostanziali. Come è giusto che sia. Io come padre riconosco di essere sempre stato abbastanza atipico. Il lavoro che insieme a Gabriella (mia moglie) abbiamo portato avanti nell’ educazione dei nostri figli si è sempre fondato sulle nostre profonde convinzioni, in fatto di rapporto con i figli. Ad oggi il legame che ho con Alessia è molto bello, fatto di complicità, dialogo, confronto e sfida che lo rende ogni giorno migliore. E l’ aver collaborato io e lei alla realizzazione di questo piccolo progetto è stato quel qualcosa in più che spero servirà a lei anche per affrontare con lo stesso slancio le sfide che la vita le farà trovare lungo la sua strada.
Alessia: Mio papà, se dovessi descriverlo, è un mix perfetto tra un vecchio saggio e un filosofo cinico con lo sguardo sempre in disaccordo con il mondo. A volte penso che non sia solo di un’altra generazione… ma proprio di un altro secolo! Dell’Ottocento, direi E forse questa è stata per me una fortuna, perché oggi vedo intorno a me tante persone un po’ perse, senza veri valori, senza passioni profonde o interessi che durino più di una settimana. La sua “antichità” (detta così fa anche ridere, lo so) è quello che mi ha permesso di costruire una parte importante di quello che sono. Siamo molto diversi (e discutiamo spesso proprio per questo), ma credo che la distanza generazionale stemperata dall’ amore per l’arte, più che dividerci, ci abbia dato la possibilità di trovare un punto d’incontro, nella forma e nella sostanza di questa storia raccontata a quattro mani.
- Il titolo Quaderni di_versi gioca con il suono e con l’idea della “diversità”. È anche un omaggio alla parola scritta come spazio libero? Come lo avete scelto e cosa rappresenta per voi?
Alessandro: In verità il titolo da me scelto, Quaderni di_versi, ad Alessia inizialmente non la convinceva proprio. Con il tempo, poi, ho compreso un po’ di più il calembour, con cui ho cercato di esprimere la mia idea. L’ idea originale per cui ero propenso a questo titolo era quella, di prendere le distanze dal mio primo libro del 2012 (quaderni) che in sostanza era un libro di poesia (di versi). Poi vedendo il contenuto che prendeva forma mi sono accorto che in quelle due paroline unite dall’ underscore, c’era di più. C’erano due visioni diverse di arte, c’erano due persone spinte da motivazioni diverse a collaborare allo stesso progetto. C’era una sorta di vademecum delle diversità! E dove la diversità non è intesa come un’ ostacolo diventa un ponte. E i ponti si uniscono sempre.
Alessia: Il titolo lo ha scelto papà. Ad essere sincera non mi convinceva per nulla. Poi leggendo i racconti e cominciando a vedere tutto prende forma ho lentamente cambiato opinione. Papà usa questo gioco di parole unito dall’underscore (gli ho dovuto spiegare io che il trattino basso si chiama così in questo secolo) per diversi motivi. E devo dire che ora li condivido tutti.
- In molti passaggi del vostro libro si respira un’intimità profonda e pudica, che fa pensare alla “paesologia” di Franco Arminio e alla sincerità silenziosa di Chandra Livia Candiani: la memoria come paesaggio interiore, il lutto come gesto poetico, la scrittura come cura. Vi riconoscete in questo filone di poesia esistenziale e radicata? E quanto conta per voi scrivere “da un luogo” e non solo “su” un tema?
Alessandro: Se devo essere sincero, alla poesia contemporanea sono arrivato molto tardi e in maniera ancora frammentaria. Sono partito, come lettore, da lontano e visto che ora ho poco tempo per leggere , cerco di recuperare pian piano. Questo procedere frammentario non mi consente di essere ferrato sul presente come sommariamente posso dire di esserlo sul passato prossimo e remoto della letteratura. Arminio è molto presente sui social in termini di citazioni e stralci della sua poetica. Mi piace molto la paesologia come idea, com’è stato mentale. Alcuni luoghi del mio passato sono assolutamente presenti, anche indirettamente, nei miei testi. Posso dire che la mia scrittura sia intrisa di paesaggi inteso come rifugi della memoria, ma anche come humus e sedimento dove far germogliare la voglia di non essere fisso in un luogo. La bellezza di un paesaggio amato sta anche però nel partire per aprirsi al nuovo con la voglia, a fine viaggio, di tornare a quel luogo che definisco casa. Chandra Livia Candiani, purtroppo non è ancora comparsa in maniera organica nelle mie letture, ma la tua domanda mi ha messo subito nella condizione di voler approfondire quanto prima. Nel tempo che ho avuto per rispondere a queste domande avrei potuto grattare qualche informazione dai motori di ricerca e riempirmi la bocca di citazioni e riferimenti, ma preferisco mostrarmi per quello che sono. Scrivere da un luogo, per finire, non è mai stata una mia abitudine. Non sento la necessità di essere da qualche parte in particolare, sento più forte la voglia di raccontare, se possibile, una bella storia. E questa voglia, che possiamo definire la mia bussola, mi concede il lusso di poterlo fare spesso anche in situazioni ben lontane dagli stereotipi dello scrittore, chiuso nel suo studio con il gatto sulle gambe e il mondo chiuso fuori dalla porta.
Alessia: Anche io come papà sarò sincera su questa domanda. Non leggo poesia. È un linguaggio che fatico a fare mio, nonostante negli anni della scuola grazie alle spiegazioni che mi dava quando dovevo studiare Manzoni, d’Annunzio, o gli altri poeti non sono mai riuscita ad apprezzarla fino in fondo. Oggi che mi divido tra casa, lavoro, università e corsi digitali di illustrazione e animazione, il poco tempo libero che non occupo ad esercitarmi, lo dedico a leggere principalmente racconti brevi, come edgar allan poe, lovecraft, o sennò Stephen King o qualche manga.
- Il vostro libro si muove in una zona di confine: non è poesia in senso stretto, ma nemmeno pura narrativa. Potremmo definirlo una raccolta di testi lirici e narrativi, tra prosa poetica, aforisma e racconto breve. Quanto è stato difficile mantenere questo equilibrio formale? E avete mai sentito il bisogno di “spiegare” il genere ai lettori o ai possibili editori?
Alessandro: Qualche mese fa, in una presentazione presso una biblioteca comunale, una persona che già conosceva il libro, lo ha definito una “rapsodia”. Senza dilungarmi nel significato che questo termine ha in musica come in letteratura, posso dire che la trovo una definizione calzante. Tu giustamente parli di equilibrio formale difficile da mantenere in un contesto particolare come l’ impianto narrativo insolito di questo libro. E io per onestà intellettuale ti dico che sarà stata l’ incoscienza dell’ esperimento, sarà stato anche un pizzico di bravura da parte nostra di essere sufficientemente severi con noi stessi, o perché no, un pizzico di talento e di fortuna. Se devo essere sincero non ho mai sentito il bisogno di spiegare nulla del libro. Io racconto una storia se la storia è una buona storia, troverà da sé la strada. Alla fine della domanda chiami in causa eventuali editori. Nota dolente, dolentissima.
Sono sfiduciato dal mondo dell’ editoria che si occupa di sconosciuti ed eterni esordienti. In Italia si legge talmente poco che non so spiegarmi le migliaia di case editrici e sedicenti tali.
Per il momento non mi sono ancora posto il problema di avere a che fare con un editore. Quando e se dovessi imbattermi in un rappresentante di questa categoria professionale, che volesse parlare del mio libro, sarò felice di sedermi di fronte a lui e ascoltare le sue argomentazioni. Con estrema attenzione.
Alessia: Non mi sono mai sentito a mio agio con le etichette. Penso che l’arte debba avere il diritto di muoversi liberamente, senza dover rientrare per forza in una categoria prestabilita. Questo libro nasce proprio da un’esigenza di attraversamento: è un piano intermedio. Penso proprio che mio padre non abbia cercato un equilibrio formale in modo consapevole: è venuto da sé, come conseguenza naturale del suo modo di scrivere e percepire le cose. Credo di poter dire in definitiva che il non poterlo catalogare in maniera precisa costituisca. E in fondo è anche un pregio che questo libro non sia facilmente catalogabile: chi ama un genere più di un altro non si sentirà escluso o respinto solo perché appartiene a una certa etichetta. È un testo accessibile a tutti, proprio perché si muove su piani diversi: ognuno può trovarvi un’adesione personale, riconoscersi in un frammento, in un tono, in un ritmo. Più che incasellarlo, per me conta che chi legge possa rivedersi nel testo, e magari conoscersi un po’ di più attraverso di esso.