11/11/2025
Intervista a Maria Pia Nocerino, autrice di “Spire”
Interviste

Intervista a Maria Pia Nocerino, autrice di “Spire”

Giu 1, 2025

Nel panorama delle nuove voci narrative italiane, Spire segna l’esordio letterario di Maria Pia Nocerino, giornalista e caporedattrice, che con questo romanzo entra in una storia intima, dolente e luminosa al tempo stesso, che intreccia l’amore maturo con il lento disfacimento dell’identità causato dall’Alzheimer, senza mai cedere alla retorica del dolore. In questa intervista, la Nocerino ci accompagna dietro le quinte della sua scrittura: parla di Marlena, la protagonista, donna resiliente e fragilissima, del suo legame con Paul, fatto di cura e narrazione; e del potere della letteratura come strumento per dare voce a chi spesso viene dimenticato due volte — dalla malattia e dalla società.

  • Maria Pia, Spire è il suo romanzo d’esordio. Com’è nato il desiderio di raccontare questa storia? È arrivata prima la trama, il personaggio di Marlena o un’urgenza emotiva da esprimere?

Fino a poco più di un anno fa, l’idea di scrivere un libro sembrava un traguardo lontano. SPIRE è nato quasi per gioco. Inizialmente era solo un racconto; poi è cresciuto, si è trasformato in qualcosa di più e ho iniziato ad accarezzare l’idea di una pubblicazione; così ho presentato il progetto alla casa editrice Rossini e da quel momento tutto ha preso una direzione chiara. Il loro entusiasmo è stato immediato, concreto. In pochi mesi, il manoscritto è diventato un libro vero. SPIRE è nato a fine giugno dello scorso anno e da allora non ha mai smesso di camminare. Il riscontro del pubblico e della critica è stato sorprendente. Il riconoscimento più recente — la Menzione Speciale al Premio Letterario Ipazia — è stata l’ultima conferma che le storie scritte con passione trovano sempre il modo di farsi ascoltare.

  • Nel suo racconto l’amore è maturo, consapevole, e non idealizzato. Penso a romanzi come L’amante di Marguerite Duras o Le età di Lulù di Almudena Grandes, dove l’amore è anche disarmonia e resistenza. Quanto è importante per Lei raccontare l’amore con le sue ombre, senza retorica?

SPIRE non è la classica storia d’amore, Paul e Marlena, i protagonisti della storia, si incontrano quando la giovinezza ha già lasciato spazio alla consapevolezza. Alla soglia dei cinquant’anni, non c’è spazio per illusioni: ci si guarda negli occhi per ciò che si è, non per ciò che si spera di diventare. Quello tra loro è un legame profondo, fatto di rispetto, desiderio e verità. Non c’è l’urgenza acerba del primo amore, ma la forza silenziosa di una passione che nasce dalla conoscenza reciproca, dal bisogno di accogliersi con tutte le proprie fragilità. È un amore che non scappa di fronte al passato, ma lo integra; che non teme il futuro, ma lo affronta insieme. In SPIRE, l’amore viene raccontato con tutte le sue sfumature: con la luce della scoperta e l’ombra del dubbio, con l’euforia dell’incontro e il peso delle scelte.

  • La malattia, in particolare l’Alzheimer, ha ispirato opere molto intense: Still Alice, The Father. Qual è stata la sua bussola nel rappresentare con delicatezza ma verità la malattia di Marlena e il suo impatto sulla coppia e sulla quotidianità?

Nel corso degli anni ho avuto modo di conoscere diverse persone affette da Alzheimer e i loro caregiver: figli, coniugi, compagni di vita che ogni giorno affrontano una battaglia silenziosa, fatta di memoria che sfuma, di identità che si sgretola, di relazioni che si trasformano. È un confronto che lascia un segno, umano e profondo. E da questo segno è nata l’urgenza di raccontare. In SPIRE, ho voluto affrontare il
tema dell’Alzheimer non solo come malattia, ma come esperienza emotiva e
relazionale, restituendolo attraverso lo sguardo dell’amore che resiste: un amore che
si adatta, che non si arrende, che resta anche quando tutto il resto vacilla. Il romanzo
tocca un tema delicato – e sempre più attuale con l’aumento dell’età media — ma lo fa
con un linguaggio lieve, misurato, mai pietistico. Il dolore è presente, ma non schiaccia: è controbilanciato da momenti di luce, da piccoli gesti di cura e tenerezza
che fanno da contrappunto alla perdita. Raccontare l’Alzheimer attraverso l’amore
significa ridare voce e dignità a chi spesso viene dimenticato due volte: dalla malattia
e dalla società. SPIRE è anche per loro.

  • In Spire, Marlena affronta una doppia lotta: interiore e sociale. C’è qualcosa di Antigone nella sua resistenza silenziosa, o persino della protagonista di La strada che va in città di Natalia Ginzburg. Quali figure femminili l’hanno ispirata nella costruzione del personaggio?

Marlena porta in sé frammenti di tante storie, ma soprattutto racchiude pezzi autentici
di me. I suoi ricordi d’infanzia sono i miei, così come le sue manie come l’istinto di
accarezzare le foglie di rosmarino o lavanda solo per sentirne il profumo che resta
attaccato alle dita o il fatto di scegliere sempre la stessa tazza per sorseggiare il caffè
al mattino. Marlena è però anche il volto segnato di chi ha conosciuto il buio: il suo
passato è quello di una donna sopravvissuta a uno stalking implacabile e la sua storia
non è solo finzione, ma eco potente di testimonianze reali, di voci ascoltate e
custodite di tante donne. E il suo futuro? Quel futuro incerto e doloroso che si affaccia
nella malattia, nella fragilità, nel lento sgretolarsi dei ricordi è il futuro che mi è stato
confidato da tante famiglie, da tanti caregiver che vivono accanto a chi affronta
l’Alzheimer e altre forme di perdita. Le loro storie, le loro lacrime, la loro forza hanno
attraversato le pagine di SPIRE e dato vita a Marlena, rendendola ancor più vera, più
umana, più universale.

  • Il titolo Spire evoca spirali, percorsi non lineari. Come nei film di Kieslowski, la struttura sembra seguire un tempo interiore, più che cronologico. Ha concepito il romanzo come un viaggio circolare nella mente e nella memoria?

Il titolo SPIRE nasce dal primo incontro tra Paul e Marlena. I due protagonisti si
conoscono davanti alla celebre fontana del Maestro Mastrolorenzi che si trova a
Nemi, nella meravigliosa zona dei Castelli Romani. È lì, accanto al volto scolpito della
Medusa, che Marlena si china per dissetarsi, poggiando la mano proprio sulle spire
della Gorgone che campeggia sulla vasca della fontana. SPIRE però non è soltanto
un riferimento fisico o artistico. È anche una metafora. Le spire sono quelle che
avvolgono, che stringono, che trascinano. Sono le spirali invisibili, ma inesorabili della
malattia, dell’Alzheimer, dell’oblio.

  • Marlena è una donna che affronta molte prove: dal dolore personale alla gestione della gelateria di famiglia. In che modo la sua storia riflette secondo Lei la resilienza femminile oggi?

Fin dalle prime pagine, Marlena appare ai lettori come tante donne della nostra
epoca: con le mani immerse in un’attività familiare (una gelateria) che fatica a restare
a galla e lo sguardo rivolto a un futuro incerto. Marlena sa bene quanto possa essere
difficile reinventarsi a una certa età, in un mondo del lavoro che raramente offre
seconde possibilità alle donne mature. Marlena è tuttavia una donna che ha
conosciuto il dolore, quello profondo, lacerante; una donna che ha trovato il coraggio
di rialzarsi e ridisegnare la sua quotidianità pezzo dopo pezzo. E proprio da quel
dolore ha tratto forza. Il dolore l’ha temprata invece di spezzarla. L’incontro con Paul non arriva per caso: è un dono, quasi un segno della Provvidenza. Una catena di
piccole coincidenze e cambi di direzione li porterà l’uno verso l’altra. Marlena è
sicuramente il simbolo di una resilienza silenziosa, ma potente, quella che appartiene
a tante donne che ogni giorno, nonostante tutto, continuano a credere che la vita
possa ancora sorprendere.

  • Il rapporto tra memoria e identità è centrale. In Il giardino dei Finzi-Contini, Bassani scrive: “La memoria è come un filo che ci tiene legati a noi stessi”. Quanto crede che la letteratura possa aiutarci a ricostruire ciò che la malattia cancella?

La letteratura ha il potere straordinario di restituire voce, senso e memoria proprio
laddove la malattia tende a cancellarli. Quando il tempo e la patologia – come
l’Alzheimer – erodono lentamente l’identità, i ricordi e le relazioni, la scrittura diventa
un mezzo di resistenza, uno spazio in cui ciò che si perde può continuare a vivere.
Credo profondamente che la letteratura possa aiutare a ricostruire non solo ciò che la
malattia cancella, ma anche ciò che intorno alla malattia rischia di sgretolarsi: i
legami, la speranza, la narrazione di sé. È come una mappa che permette ai lettori –
e anche a chi scrive – di orientarsi nel dolore, senza esserne travolti. Attraverso le
storie, possiamo ritrovare frammenti di umanità, custodire la memoria di chi non
riesce più a raccontarsi, e riconoscere nelle parole degli altri la forza per continuare a
esserci, a sentire, ad amare. La letteratura, in questo senso, non cura il corpo, ma
salva l’anima.

  • Come giornalista e caporedattrice è abituata a raccontare il reale. In che modo la scrittura narrativa è stata diversa per Lei? Ha vissuto questo passaggio come un cambio di linguaggio o una naturale evoluzione?

Come giornalista sono abituata a restituire i fatti, ad attenermi alla verità del reale con
rigore e chiarezza, ma dentro ogni fatto, ogni notizia, ogni testimonianza, ci sono
emozioni, sfumature, silenzi che spesso non trovano spazio nel linguaggio
giornalistico. La narrativa mi permette di esplorare proprio quei territori più profondi e
meno visibili: i moti interiori, le fragilità, la complessità dei sentimenti. Con la narrativa
concedo spazio all’immaginazione pur partendo da osservazioni reali e concrete.
Scrivere SPIRE non ha significato allontanarmi dalla realtà, ma raccontarla con
strumenti diversi, più liberi, più personali. È stato un viaggio dentro le emozioni.

  • Nel romanzo emerge anche il peso delle aspettative sociali, della cura, del non detto. La scrittura è stata un modo per dar voce a tutte le donne che affrontano tutto questo in silenzio?

Assolutamente sì. La scrittura, per me, è stata prima di tutto un atto di ascolto. Nel
corso della mia vita e del mio lavoro ho incontrato molte donne che portano sulle
spalle un peso enorme fatto di aspettative, responsabilità, ruoli imposti e rinunce
silenziose. Donne che si prendono cura degli altri – dei genitori, dei figli, dei compagni
– spesso dimenticando sé stesse. Donne che affrontano malattie, lutti, solitudini, con
una forza che non fa rumore. Con questo romanzo ho voluto dare voce proprio a loro:
a quel sommerso mondo femminile. Marlena, la protagonista, incarna molte di queste donne. Attraverso la sua storia ho cercato di raccontare cosa significa resistere,
adattarsi, ricostruire, ma anche cosa significa scegliere, desiderare, ricominciare a
vivere secondo il proprio sentire. SPIRE è anche un atto di sorellanza verso tutte
quelle donne che ogni giorno combattono battaglie invisibili.

  • C’è un film molto famoso “The Notebook” Le pagine della nostra vita, in particolare in una scena struggente Noah, ormai anziano, dice a sua moglie colpita dal morbo di Alzheimer : “La nostra storia è una grande storia d’amore, e io continuerò a raccontartela finché avrò fiato”. Anche Paul, in Spire, resta accanto a Marlena nel suo lento smarrirsi. Crede che raccontare – anche solo per pochi attimi di lucidità – sia un modo per tenere vivo l’amore quando la memoria ci abbandona? La scrittura stessa può diventare atto di cura, come la voce di Noah che legge ogni giorno alla sua amata?

Sì, lo credo profondamente. Raccontare è un atto d’amore. È un modo per custodire
ciò che rischia di andare perduto, per tenerlo vivo anche quando la memoria inizia a
cedere. Nel caso dell’Alzheimer, la parola può diventare una sorta di àncora, un filo
invisibile che collega ciò che eravamo a ciò che stiamo diventando, che tiene unite
due persone anche quando il riconoscersi diventa difficile, o addirittura impossibile. In
Spire, Paul resta accanto a Marlena non solo con la presenza, ma anche con la
parola. È nella narrazione della loro storia che lui riesce a proteggerla, a tenerla
stretta a sé anche mentre lei si allontana. Come Noah in The Notebook, Paul
comprende che l’amore non si misura solo nei gesti grandiosi, ma nella costanza di
chi resta, di chi ripete, di chi spera anche solo in un attimo di luce. La scrittura così
come la lettura, in questo senso, sono una forma di cura. È memoria condivisa,
rifugio, testimonianza. Scrivere, raccontare, leggere ad alta voce: sono gesti che
vanno oltre il semplice comunicare. Diventano resistenza contro l’oblio, un modo per
dire “io ci sono” quando tutto il resto vacilla. Anche solo per un istante. E a volte,
quell’istante basta.