11/11/2025
Gigi Vinci: Un arabesque mondain raffiné
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Gigi Vinci: Un arabesque mondain raffiné

Mag 21, 2025

In un mondo che urla per farsi notare, Gigi Vinci sussurra con stoffe, pose e sguardi.
Lui non si veste: interpreta.
E mentre noi ci affanniamo a stare al passo, lui è già un passo avanti. Un passo di danza.

  • “Ogni vero atto di cura è anche un atto di resistenza”, scriveva Byung-Chul Han. In un mondo che confonde cultura e spettacolarizzazione, lei ha scelto di essere una presenza elegante, di volgere il suo sguardo alla cultura in modo mai banale e di investire tempo e attenzione su talenti invisibili agli occhi del grande pubblico. Cosa la spinge a fare tutto ciò?

La sua domanda è molto interessante, benché unica richiede una risposta multipla.

La resistenza è esattamente la cura! La mia “eleganza” è un linguaggio, una scelta politica ben precisa è un gesto di liberazione sociale e di affermazione anche per coloro che non hanno il coraggio o la forza di agire e vedono in me un riferimento a cui ispirarsi. In una società che ci vuole soli ed efficienti in un silenzioso processo di disumanizzazione, fermarsi godere dell’estetica, non disgiunta dall’etica e contemplare lentamente la cultura è un forte atto di resistenza e di controtendenza al processo in cui nessuno ci impone la frusta, ma siamo diventati efficienti a darcela da soli per essere perfetti ed infallibili, non capendo che è esattamente questa la nostra angoscia quotidiana che ci tormenta e sarà il mostro fallimento esistenziale. Quindi coltivare speranza proprio come istinto di sopravvivenza assume un gesto forte politico e nello stesso tempo spirituale.

Mi sono sempre chiesto perché gli esseri umani preistorici, pur dovendo soddisfare esigenze primarie, si dedicassero a rappresentazioni figurative, che oggi definiamo Arte? Sono arrivato alla conclusione che l’espressione artistica è esigenze primarie da soddisfare. A tal fine ritornando alla politica, tema caro al filosofo citato, ritengo che i tempi siano maturi per emendare alcuni articoli della Costituzione italiana, dandogli un respiro universale che elevi l’Arte ad esigenza primaria connaturata alla dignità umana ad esempio: Art. 1 L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sulla dignità dell’essere umano. Art. 9 La Repubblica riconosce l’arte come espressione fondamentale della dignità e del bisogno umano. Ne promuove lo sviluppo e ne garantisce la libera fruizione come diritto primario di ogni persona. Allora sì che l’Italia sarebbe un faro di cultura e sarebbe degna dell’ammirazione delle Nazioni!   

Adesso arriviamo alla fine: cosa mi spinge ad essere di fatto mecenate artistico di talenti sconosciuti? Un motore interiore inspiegabile che come Socrate mi porta a fare emergere e partorire talenti.        

  • “In Sicilia il silenzio è tollerato, l’azione no”: chi crea spesso incontra resistenza. Come ha imparato a danzare tra ammirazione e diffidenza, restando fedele al proprio stile?

La Sicilia è terra di grandi silenzi e di azioni cariche di conseguenze. Qui agire è spesso interpretato come un affronto all’equilibrio delle cose. Come ricordava Tomasi di Lampedusa: “Il peccato che noi Siciliani non perdoniamo mai è semplicemente quello di fare ‘”. In effetti, muoversi, anche solo per gioco o per leggerezza, è spesso sufficiente a risvegliare tensioni latenti.

Navigare tra l’ammirazione e la diffidenza richiede una certa grazia: è un equilibrio che si raggiunge solo nel tempo, con la coerenza dei gesti e la chiarezza della visione. Quando l’azione è mossa da autenticità, anche le resistenze più ostili possono trasformarsi in rispetto e se a volte si inizia con lo scetticismo, la costanza e l’armonia con cui si compie il proprio percorso possono, col tempo, generare ammirazione.

  • “La danza è un pensiero fatto corpo, un’emozione fatta gesto”, sosteneva Martha Graham. Lei ha sempre mostrato una passione concreta per l’arte dal vivo: danza, teatro, performance. Se potesse creare oggi un luogo ideale per coltivare nuovi artisti, che forma avrebbe? Una scuola? Un salotto? Un tempio?

Personalmente andrei oltre Martha Graham: la danza è un modus vivendi universale. Tutti gli esseri umani danzano; esiste una meravigliosa coreografia laddove molti si muovono ed iniziano a ruotare intorno a personaggi influenti, credendosi migliori di altri. E’ la danza del potere! Esistono anche coreografie per la seduzione, ecc…. Poi c’è la Danza con la D maiuscola: un’arte antichissima, nobilissima e presente in tutte le culture. Amo sempre dire che la Danza non è un insieme di passi ben eseguiti, ma un’interpretazione esistenziale, un modo di abitare il mondo.

Sostengo i ballerini infondendo fiducia in loro stessi, coraggio e consigli interpretativi. A volte credo di essere un po’ invadente, ma perdonatemi, le intenzioni erano buone.

Per carità! I salotti culturali sono stantii e passare al pettegolezzo è una temibile seduzione. Il tempio lo abbiamo già il Teatro Massimo di Palermo. Manca, semmai, al tempio un’Accademia di eccellenza, non solo per l’arte in sé, ma anche come reale opportunità di carriera e riscatto.     

  • Chi la conosce sa che ogni sua scelta estetica è anche un messaggio. Quando prepara un outfit per un’occasione importante, da cosa parte: da un’emozione, da un colore, da una memoria?

Per me vestirsi è un gesto narrativo. Ogni volta cerco di immaginare l’evento, le persone che incontrerò e le emozioni che vorrei provare, la storia da raccontare prima ancora di dire una parola. Poi inizio a fare memoria di ciò che posseggo e mentalmente inizio ad assemblare, mi vesto come si costruisce una scena: con cura, intuizione e un pizzico di mistero, l’effetto deve stupire il messaggio allora di libertà diverrà esplicito e dirompente. Detto così può sembrare facile in verità c’è ricerca, poiché il rischio di cadere nel cattivo gusto è reale bisogna dosare gli eccessi con gusto, come i tasselli dei mosaici che ritraggono i membri della corte bizantina.

  • Lei è stato ritratto più volte da artisti che hanno cercato di cogliere la sua essenza. C’è stato un volto che le ha restituito un’immagine di sé che non aveva ancora visto?

Il ritratto quando è autentico, non è solo immagine è rivelazione, poiché è vedere sé stessi attraverso l’occhio di chi osserva con attenzione. La ritrattistica è un genere a sé di arte figurativa e richiede da parte del committente o dal personaggio ritratto una grande apertura mentale, poiché nessun ritratto sarà una fotografia, ma una visione che altri hanno di noi e che spesso non coincide con quello che crediamo di essere, entrati in questa logica è meraviglioso lasciarsi stupire e scoprire dettagli a cui non avevamo prestato attenzione. Posseggo tanti ritratti in diversi substrati e non c’è nessun rapporto analogico tra loro, ognuno è diverso pur essendo io, sono convinto che, attraverso i ritratti, i posteri avranno serie difficoltà a capire chi sia stato davvero. 

  • “La bellezza salverà il mondo”, profetizzava Dostoevskij. Se potesse muoversi nel tempo, quale epoca sceglierebbe per una lunga conversazione a lume di candela? E con chi vorrebbe dialogare, tra i grandi spiriti del passato?

Questa affermazione è diventata un mantra, forse persino inflazionata, tuttavia contiene un nucleo di verità.

Se potessi viaggiare nel tempo sarebbero tanti i personaggi che vorrei incontrare ad esempio Maria Antonietta Regina di Francia alla quale chiederei com’è stato possibile che, da Regina abbia perso la corona, da moglie il marito e da madre allontanata dai figli, chissà quale sarebbe la sua versione dei fatti? In verità mi piacerebbe un simposio magari di donne di epoche diverse, la conversazione con le donne è sempre brillante, tuttavia dialogherei con grande piacere con Franca Florio, essere nel suo palco il giorno dell’inaugurazione del Teatro Massimo e chiederle, nell’intervallo, come si mantiene l’eleganza nel caos e perché la sua città le dovrebbe dedicarle qualcosa di importante? Sono convinto che mi direbbe: sono stata ambasciatrice della nostra città nel mondo, musa ispiratrice di artisti, benefattrice e filantropa. Intitolarmi una strada sarebbe anche un segno di giustizia simbolica, che arricchisce la toponomastica cittadina di una presenza femminile che è stata capace di rappresentare al meglio la storia, l’anima ed il buon gusto dell’amata Palermo.

  • “L’eleganza è la sola bellezza che non sfiorisce mai”, diceva Audrey Hepburn. Per lei che l’ha resa gesto, rito, pensiero, che cos’è davvero l’eleganza oggi? Un codice, un atto di resistenza o un atto d’amore?

L’eleganza oggi è essere gentili, umani, abbracciare e sostenere chi soffre è l’eleganza dell’anima, senza la quale nessuna eleganza assume significato.

  • Cosa la commuove ancora, oggi, in un’opera d’arte? È un dettaglio, una rottura, un silenzio? E come è cambiato il suo sguardo estetico nel tempo?

Il gusto estetico nel tempo si ingentilisce, diventa più esigente, purtroppo si è sempre soggetti ad assuefazione, le modalità di fruizione sono due o si contempla qualcosa di già visto come un rituale la cui bellezza sta nella ripetitività del rito, ovvero per un’opera contemporanea ci si lascia stupire dall’artista, se è un vero artista ci riesce sempre! 

  • Se le chiedessero di lasciare un solo segno simbolico a Palermo — un gesto silenzioso ma duraturo — cosa sarebbe? Un oggetto, un abito, una dedica, una presenza?

Il mio più orribile ritratto, considerato che questa comunità non ha voluto acquistare il ritratto di Franca Florio del Boldini, si godano me con tanto di manichino con un mio abito tarlato indossato per una prima, se non hanno compreso Lei e la sua essenza, cosa vuole che possano comprendere di altri spiriti…

  • La mostra“La rovina degli Dèi”è un titolo fortissimo, quasi un memento mori. Lei sta curando una mostra dal titolo così potente e quasi profetico. Un’esposizione che invita lo spettatore a interrogare i propri culti interiori, ma anche la direzione del nostro immaginario collettivo. Friedrich Nietzsche, nel suo Crepuscolo degli idoli, scriveva che il momento della rovina è anche quello della lucidità. Quali opere o suggestioni presenti nella mostra crede possano davvero colpire il visitatore e spingerlo a una riflessione autentica sul presente?

“Dio è morto” di Nietzsche – è l’abbandono della fede e, con essa, dei valori morali e teologici assoluti. Questo smarrimento spinge l’essere umano verso il nichilismo, trasformandolo in una divinità fragile, impotente, soggetta alla propria finitezza. Nel titolo della mostra si intravede un rimando a questo dramma: la rovina morale dei potenti, già narrata da Visconti ne “La Caduta degli Dei”, dove si intrecciano tragedie familiari e orrori totalitari, guidati talvolta proprio dal delirio di onnipotenza di chi si crede dio.

Questa mostra vuole allora esplorare gli aspetti più intimi della rovina: tra flussi pittorici e inquietanti figure mitologiche, ci accompagna in un percorso di riflessione sulla mostruosità nascosta nella condizione umana. Un’umanità che, spesso, si auto-divinizza, finendo per perdersi nella propria autodistruzione, rovinando dalla divinità che di sé stessa ha fatto ed a cui ha reso paganamente culto.

Non c’è un’opera in particolare dell’artista Sergio Di Paola da segnalare, poiché ognuna, attraverso la narrazione del mito, reca qualcosa di unico che suscita riflessioni forti anzi fortissime!    

  • In un tempo che trasforma tutto in immagine e ogni immagine in consumo La rovina degli Dèi sembra volerci ricordare il confine tra arte e culto, tra simbolo e feticcio. Secondo lei, oggi il pericolo maggiore per l’arte è l’idolatria dell’Io? Dove finisce la celebrazione dell’identità e comincia la sua rovina?

Il pericolo maggiore per l’arte contemporanea risiede proprio in questa deriva narcisistica, quando l’identità diventa un marchio da esibire, l’opera si svuota del suo potenziale critico e spirituale, diventando un feticcio estetico o ideologico. La celebrazione dell’identità è feconda finché dialoga con l’altro e con l’universale, ma quando diventa autoreferenziale, si trasforma in rovina, perdendo profondità e senso.

Questa mostra è una soglia. Invita lo spettatore a interrogare i propri dèi interiori, a riconoscere dove finisce l’arte e dove comincia il culto, dove termina il simbolo e nasce il delirio. Perché ogni linea incisa sulla carta non è solo gesto estetico, ma atto di memoria e di monito. Per ricordare che, nel momento in cui l’uomo si fa divinità, spesso ha già smesso di essere umano.

E ora, Dottor Vinci, mi permetta l’onore di concludere questa nostra conversazione con un invito fuori dagli schemi: un dialogo a passo di danza tra parole e silenzi. Come tributo alla disciplina, all’arte, e a quella parte di sé che ha sempre saputo trasformare il movimento in eleganza. Le va?

C’è chi vive la moda, e chi la trasforma in passo danzato.
Chi attraversa i salotti, e chi li dirige come se fossero un balletto.
Gigi Vinci non calca il palcoscenico: lo diventa.
E questa intervista è il nostro pas de deux.

ADAGIO – Le origini non si toccano, si onorano:
Gigi, ogni gesto suo sembra raccontare qualcosa. Qual è il primo gesto che ricorda di sé bambino. Lei nasce ad Agrigento, terra classica, e approda a Palermo, città di contrasti. Come si danza tra due identità così forti?

Si danza se avviene con una nonna come la mia, al secolo Maria Concezione Celauro dei baroni di Sant’Alberto, la quale mi insegnava a ballare il valzer all’età di cinque anni ed il Valzer si sa trascina tutto e tutti in qualunque luogo ci si muova… 

ALLEGRO – La scena è servita:
Le sue apparizioni alle “prime” teatrali sono leggenda. Quando ha capito che l’abito era molto più che un abito?

Quando indossai una vestaglia da camera in velluto cangiante dorato, creata per me da Massimo Bomba, stilista romano, sdoganai così lo smoking per le prime al Teatro Massimo di Palermo, fu un successo!

PIROUETTE – Il rischio come coreografia:
Ha riportato in auge il diadema, sfidato il viola a teatro, indossato opere d’arte al collo. Qual è stata la sua più audace pirouette? Mai pentito di nulla?

Non bisogna mai pentirsi, ciò che è fatto è fatto! La più audace pirouette fu quando osai un abito lungo nero nude look, entrando nel Foyer del Teatro massimo di Palermo la prima persona che incontrai fu l’allora Sindaco Orlando il quale con grande disinvoltura mi accolse e tante furono le fotografie!     

PAS DE DEUX – Gli incontri che cambiano il ritmo:
Chi sono stati i suoi compagni di danza nella vita a cui lasciare una dedica speciale?

Ho incontrato tante persone, teste coronate, cardinali, ambasciatori, politici, stilisti ecc… Ma quelle che mi hanno insegnato a vivere ed aiutato sono tutte figure femminili, la già citata mia nonna, la fu Sig.ra Assuntina Capizzi sposata Sinatra mamma della cara ed indimenticabile amica Sabrina Sinatra, la quale prima che uscissimo di casa, per un evento, amavamo andare adolescenti ai defilé di moda, ci impartiva sempre preziosi consigli. Donna Giovanna Bucalo Triglia che mi ha introdotto ai rituali di una Palermo barocca. Un’altra indimenticabile, Donna Costanza Afan de Rivera Costaguti, nipote di Franca Florio, una personalità unica, forte capace di darti il migliore consiglio possibile, non c’era problema di cui non avesse una soluzione ed infine Donna Clara Monroy di Giampillieri anch’essa un mentore, la simpatica e stravagante amica, che riesce sempre a spiazzarmi, Donna Stefanella Vanni Calvello di San Vincenzo e Danika La Loggia il mio rifugio nello sconforto. A tutte dico grazie!    

FINALE – Il gesto che resta: Oggi, in un mondo dove tutto è veloce e superficiale, cosa trasmette il suo stile?

Sogno, il piacere di obliarsi e dimenticare. Come diceva Franca Valeri, che ho visto a teatro, “La vita non è poi così interessante…” aggiungo io che bisogna renderla interessante, rifugiandosi anche nella leggerezza che spesso è foriera di grandi contenuti. 

Signori
Gigi Vinci: Un arabesque mondain raffiné

(Sipario)