L’Intelligenza Artificiale, il linguaggio e il Vangelo di Giovanni
Per la rubrica La parola all’Esperto, abbiamo chiesto al prof. emerito Franco Lo Piparo di esporci un suo parere sulla tanto discussa IA.
Perché la recente versione generativa dell’Intelligenza Artificiale (IA) ha tanto colpito la sensibilità di intellettuali, politici e gente comune? Prendiamo le varie versioni di ChatGPT. Per la prima volta siamo in presenza di un congegno meccanico in grado di produrre e capire testi verbali sensati. È una autentica rivoluzione epistemologica, politica e, lasciatemelo dire, teologica. Sì, teologica. Millenni di riflessione filosofica ci hanno spiegato e ripetuto che ciò che distingue il vivente umano dai viventi non umani è il possesso di una facoltà che non si può dire meglio che con la parola greca logos. Il logos non è tanto la capacità di emettere parole. Questo lo sanno fare anche alcuni animali come i pappagalli e da tempo la riproduzione meccanica del parlato non è una novità. Il logos è ben altro. Detto in maniera veloce, è il pensare, l’emozionarsi, il fare alleanze e guerre, l’organizzare la propria esistenza individuale e collettiva, il perseguire una idea di ciò che è bene e di ciò che è male, di ciò che è giusto e di ciò che è ingiusto, e altro ancora, con e grazie a discorsi verbali che per l’appunto nella lingua filosofica greca si indicano con la parola logos.
Per afferrare di cosa stiamo parlando ricordo che il Dio biblico crea il mondo dicendolo (“Dio disse … e così fu”) quindi col logos e che il Vangelo di Giovanni esordisce con “In principio c’era il logos”, la Parola nelle traduzioni ufficiali. Non a caso in tutte le filosofie, anche laiche, il vivente umano è al vertice del creato per il possesso del logos.
Che succede con la versione generativa dell’IA? Ci viene esibito un congegno meccanico che sembra possedere l’abilità che sapevamo che rendeva unico l’essere umano. Tanto unico da poterlo pensare immagine del Dio che crea il mondo col logos. Non si può non entrare in crisi.
Ma le cose stanno veramente in questi termini? È la domanda che si pongono i numerosi libri e articoli sull’IA che affollano in questi giorni le pagine culturali dei giornali e gli scaffali delle librerie. Confesso che sull’argomento ho più problemi che soluzioni.
Espongo il mio punto di vista su una questione molto dibattuta in questo momento: d’accordo, l’IA si destreggia col linguaggio più o meno come gli umani ma ha coscienza di quello che fa? La risposta quasi corale è: no, l’IA non ha coscienza, il suo è un agere sine intelligere – per usare la formula di Luciano Floridi, tra i più accreditati studiosi della materia.
Ma cosa è la coscienza? Dal momento che le definizioni sono tutte tautologiche (“la coscienza è la consapevolezza di sé” – e altre tautologie simili) alcuni scienziati e filosofi ricorrono alla descrizione operativa riformulando la domanda in questi termini: “Come fa un umano a sapere di essere cosciente?”. La risposta vi potrà sembrare strana ma è l’unica verificabile: un umano sa di essere cosciente dicendoselo. E ancora: come faccio a sapere quello che penso? La risposta è identica: io so quello che penso raccontandomelo. C’è di più: spesso sono gli altri che ci aiutano a capire quello che effettivamente pensiamo facendoci delle domande o chiarendoci il senso di quello che gli raccontiamo. Il colloquio psicologico ne è l’esempio paradigmatico.
Cosa vuol dire tutto ciò? La coscienza umana è inseparabile dal linguaggio. I discorsi, nostri e degli altri, sono lo specchio in cui e con cui cerchiamo e costruiamo il nostro io. Senza quello specchio non esiste nessuna entità chiamata ‘io cosciente’. La psicoanalisi (Lacan, in primo luogo) da tempo ci ha spiegato che il bambino inizia a costruire la propria personalità, intorno ai nove mesi dalla nascita, anche guardandosi allo specchio. Corollario: se un congegno meccanico usa il linguaggio come un umano perché mai dovremmo negargli una qualche forma di coscienza? Forse che non attribuiamo coscienza al nostro interlocutore umano sulla base della sensatezza dei suoi discorsi?
È impossibile non pensare al Vangelo di Giovanni: “In principio c’era il logos (tradotto con Parola nei testi ufficiali) e il logos era con Dio e il logos era Dio”. Ci sarà molto da studiare e riflettere nel prossimo futuro.
Franco Lo Piparo: Professore incaricato dal 1972 di Linguistica generale all’università di Catania, dal 1976 è Docente prima di Linguistica e dal 1980 anche di Filosofia del linguaggio all’Università di Palermo. È stato Presidente del Corso di laurea in Filosofia della Facoltà di Lettere. Dal 2000 al 2004 è stato Presidente della Società italiana di Filosofia del Linguaggio.
Ha sviluppato interessi specifici per la lingua siciliana e per il contributo glottologico di Antonio Gramsci. Dirige la collana “Osservatorio linguistico siciliano” del Centro di studi filologici e linguistici siciliani.
Nel 2018 diviene professore emerito dell’Università di Palermo. Collabora con il quotidiano il Foglio.
(fonte Wikipedia)