11/11/2025
Portofino Blues: il mistero, il jet set e la realtà nella narrativa di Valerio Aiolli
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Portofino Blues: il mistero, il jet set e la realtà nella narrativa di Valerio Aiolli

Feb 24, 2025

In questa intervista Valerio Aiolli ci guida nella sua ultima opera, Portofino Blues (Voland), che tra cronaca e narrativa ci racconta della scomparsa della contessa Francesca Vacca Agusta. Un romanzo che intreccia il fascino del noir e l’indagine storico – sociale. Attraverso una scrittura che oscilla tra il rigore documentaristico e l’introspezione, Aiolli esplora l’ambiguità della verità.

  • Valerio Aiolli, lei in Portofino Blues prende spunto da un caso reale, la misteriosa scomparsa della contessa Francesca Vacca Agusta. Il suo romanzo, però, non si limita a raccontare i fatti, ma ricostruisce un’epoca, i suoi eccessi e le sue ombre. Cosa l’ha colpita di più di questa vicenda e cosa l’ha spinta a trasformarla in un romanzo?

Non sai mai cosa stai cercando veramente, fin quando non l’hai trovato. A me almeno, nella vita e nella letteratura, capita così. Quando, anche grazie al suggerimento di alcuni amici, ho “trovato” la storia di Francesca Vacca Agusta (me la ricordavo vagamente, come molti) ho capito che, per la scrittura del mio prossimo romanzo, stavo cercando qualcosa di molto visibile, che contenesse anche una certa quantità di glamour, che portasse in sé un mistero non del tutto risolto e che catalizzasse una serie di vicende capaci di raccontare snodi importanti del nostro esistere. È una storia stratificata, che contiene tanti livelli narrativi. In termini di tempo, di luoghi, di livelli sociali, di dinamiche psicologiche, di correnti economiche, di visioni architettoniche, di profondità esistenziali. C’era insomma il materiale per immergersi e cercare di trarne un romanzo.

  • La narrazione alterna punti di vista diversi, documenti e dichiarazioni reali, creando un mosaico di voci e prospettive. Quali sono state le sfide nel bilanciare realtà e finzione per mantenere sia il rigore dei fatti che la tensione narrativa?

Il lavoro – una volta raccolta la copiosa massa della documentazione – è stato duplice. In primo luogo un lavoro sulla struttura, sul montaggio, in modo tale da offrire al lettore uno sviluppo drammaturgico che suggerisse implicitamente se ci trovavamo nell’area in cui prevalevano i fatti documentati o in quella caratterizzata dalla presenza preponderante dell’immaginazione romanzesca. Poi il lavoro sulla scrittura: uno stile più oggettivo per la parte documentaria, più libero per quella narrativa. Ma non troppo dissimili tra loro, per non perdere mai l’unità, la coerenza di fondo di ciò che andavo scrivendo.

  • Portofino Blues ha il ritmo serrato del noir, ma anche l’ampio respiro di un romanzo storico e sociale. Come ha lavorato per intrecciare il mistero con il racconto di costume, evitando di cadere nei cliché del genere?

A livello strutturale, per creare e mantenere una tensione narrativa, ho giocato sulla diversa percezione del tempo all’interno delle diverse sezioni in cui è diviso il romanzo: lo scorrere delle ore di una singola giornata all’interno di Villa Altachiara, lo scorrere dei giorni, settimane, mesi e anni all’esterno. Poi, via via che procedevo, connettevo alcuni dei nodi narrativi con “cose” (eventi, opere musicali o cinematografiche, storie di altri personaggi, ecc.) apparentemente – ma solo apparentemente – sganciate dal contesto, che però invece a mio parere arricchivano la narrazione, la alleggerivano, aprendola al mondo esterno.

  • Il romanzo sembra avere una scrittura che richiama quella del giornalismo investigativo, con una precisione quasi documentaristica, ma al tempo stesso lascia spazio all’evocazione e all’introspezione. Ci sono autori o generi a cui si è ispirato o ha creato un suo approccio personale per intessere questo genere di storia?

Certo nel corso degli anni ho letto con interesse e passione A sangue freddo di Truman Capote, L’avversario di Emmanuel Carrère e molti altri libri del genere, tra cui il più recente La città dei vivi di Nicola Lagioia. Ogni autore però ha un approccio personale, le letture e le passioni per altri scrittori si fondono nell’interiorità di chi scrive e nutrono la sua individualità. Almeno dovrebbe essere così, spero che sia il mio caso!

  • La figura di Francesca Vacca Agusta è complessa: una donna controversa, simbolo di un certo jet set italiano e internazionale, la cui scomparsa è ancora avvolta nel mistero. Come ha affrontato il rischio di romanzare un personaggio così reale senza snaturarlo, restituendone al contempo la profondità?

Per lei, ma la cosa vale per tutti gli altri personaggi, ho cercato di non dimenticare mai che si trattava sì di un personaggio letterario, che però era ispirato a una persona reale. Ho cercato di mantenere in ogni rigo il rispetto che si deve alle persone reali. D’altra parte non mi sono dovuto sforzare troppo: per scrivere io devo entrare nei personaggi, anche in quelli più lontani da me. E, nella misura in cui riesco a farlo, li sento così vicini che mi è praticamente impossibile non provare per loro del rispetto. Francesca Vacca Agusta è stata una persona piena di luci e ombre, di slanci e di chiusure, di momenti di gloria e di anni bui. Un po’ come tutti noi, ma elevato all’ennesima potenza. Nel personaggio di Francesca presente nel mio libro ho provato a restituire questo caleidoscopico mutare della sua fortuna e del suo stato d’animo, il tutto visto dal cannocchiale privilegiato (e maledetto) dell’ultimo giorno della sua vita.

  • Valerio, il suo romanzo non offre risposte certe, ma solleva interrogativi inquietanti. Crede che il fascino di storie come questa stia proprio nella loro ambiguità? E come autore, sente la responsabilità di dare una sua interpretazione, oppure preferisce lasciare aperti più livelli di lettura?

Molte delle mie storie credo abbiano a che fare con l’ambiguità, con l’incertezza, con la linea sottile e tortuosa che distingue il bene dal male. È immergendomi in quella palude che, con un po’ di fortuna, posso riportare a casa qualcosa di interessante. Penso che uno scrittore debba aprire prospettive, suscitare domande in chi legge, più che tirar su i muri delle risposte. Per quei muri ci sono già abbastanza operai e ingegneri al lavoro, ogni giorno.

  • Anche nel suo precedente romanzo Nero ananas ha raccontato una vicenda realmente accaduta, quella delle stragi e della “strategia della tensione” tra il 1969 e il 1973. In Portofino Blues torna ad affrontare un fatto di cronaca, seppur molto diverso. Cosa l’affascina di questo dialogo tra narrativa e realtà? E cosa cambia, nel suo modo di scrivere, quando si misura con eventi realmente accaduti?

Trovo che applicare strumenti letterari alla cosiddetta realtà (qui il discorso si farebbe lungo su cosa intendere per “realtà”, ma diamolo per assodato) sia estremamente stimolante. Vivificante per me come lettore (quando leggo libri di questo tipo) e come scrittore. La realtà ci viene presentata normalmente con articoli, lanci, video. Viene a volte approfondita da reportage, inchieste giornalistiche. La letteratura va oltre, cerca di entrare sotto la pelle della realtà per indagarne le radici profonde, per far emergere connessioni invisibili, per portare alla luce ciò che solitamente non si racconta. È un lavoro difficile ma gratificante. La mia scrittura, ormai in maniera abbastanza naturale, si adatta alla contingenza. E non trovo poi, a essere sincero, una differenza così grande tra la scrittura che uso in caso di romanzi “inventati” e quella dei romanzi che nascono da una presa diretta con la realtà.

  • Portofino Blues esce con Voland, una casa editrice che si distingue per la scelta di autori dalla voce forte e originale. Qual è stato il valore di questa collaborazione e quanto è importante per un autore trovare un editore che sappia valorizzare la sua visione?

È il mio terzo libro con Voland, ormai lo considero il mio editore di riferimento per questa parte “matura” della mia carriera. Ho parlato al maschile ma dovrei declinare al femminile: Voland è una casa editrice composta (per caso? non so) esclusivamente da donne, a partire dalla fondatrice e presidente, Daniela Di Sora. Penso che ormai siamo arrivati a capirci in profondità, ci stimiamo, ci rispettiamo e ci vogliamo bene. È molto importante per me avere trovato una controparte del genere, spero davvero che la collaborazione proseguirà ancora a lungo.

  • Negli ultimi anni la narrativa italiana sembra sempre più orientata a esplorare i confini tra fiction e realtà, tra romanzo e inchiesta. Crede che questa tendenza risponda a un bisogno nuovo dei lettori? E come si colloca il suo lavoro in questo panorama?

Forse c’è un effetto di fondo, derivato dalla difficoltà sempre maggiore per i lettori di concentrarsi su libri che non siano di genere, che se da un lato ha incrementato il peso del genere “thriller”, dall’altro ha fatto sì che alcune delle sue caratteristiche migrassero anche nei romanzi letterari. È chiaro che dove c’è curiosità cresce l’attenzione del lettore, e questo magari inconsciamente può condizionare gli scrittori a percorrere quella strada, anche se è vero che i grandi romanzi hanno sempre avuto in sé il meccanismo della tensione interna. Anche Anna Karenina ce l’ha, per non parlare della celeberrima inchiesta di Delitto e castigo. Ma forse c’è anche un’altra ragione che ha spinto molti scrittori, me compreso, a percorrere la via della fiction applicata alla realtà: viviamo in un mondo dove la rappresentazione è diventata la vera realtà. Un tweet, una story, un breve filmato con un gesto simbolico valgono più di una decisione ponderata, di una riflessione profonda, di una discussione proficua. Un tempo si scrivevano e leggevano encicliche, programmi di partito, studi filosofici. Oggi tutto vola via in un attimo. Prendersi il tempo di scandagliare una storia, di sottoporla a un approfondimento anche umano, oltre che puramente giornalistico, è anche un modo di resistere rispetto a questa deriva della rapidità, che tutto digerisce e tutto brucia.

  • La sua carriera letteraria è iniziata quasi trent’anni fa, con Male ai piedi, e da allora ha attraversato generi e tematiche molto diversi. Guardandosi indietro, c’è un filo conduttore che lega tutte le sue opere? O sente di essere un autore in continua evoluzione?

Eh sì, è passato un po’ di tempo. Entrambe le cose, direi. Mi pare di avere due direttrici di fondo: storie “piccole” legate allo sviluppo di uno o pochi personaggi, e storie “grandi” che mettono in relazione dinamica vicende anche molto distanti tra loro, unificate dalla visione d’insieme. Al di là del tono, che può tingere alcuni libri di maggiore ironia e altri di maggiore drammaticità, penso che spesso, alla fine, quello che cerco di raccontare è la difficoltà dell’essere umano a restare tale (umano) quando le pareti del mondo si chiudono contro di lui. Pareti mosse dalla storia collettiva o da quella individuale (e spesso le due cose sono interdipendenti). Detto questo, mi illudo di non essermi ancora fermato, e di riuscire ad affrontare la prossima scrittura con lo spirito di chi deve scoprire ancora qualcosa, anche dal punto di vista stilistico.

  • Ha scritto romanzi, racconti, reportage, collaborato con riviste e persino curato la revisione di un best-seller come Necropoli di Boris Pahor. Come queste esperienze hanno influenzato il suo modo di scrivere e di raccontare le storie?

Ogni esperienza è un dono. La revisione di Necropoli mi ha donato l’attenzione a ogni singola parola che scrivo, al suo suono, ai suoi significati ramificati. I reportage mi hanno donato una certa disinvoltura nel pormi di fronte alla realtà, la necessità di uscire dalla stanza, dal guscio, e di capire in fretta ciò a cui ti trovi di fronte. E il dono della sintesi. I racconti d’amore per le riviste “femminili”, la capacità di esprimere sentimenti forti senza scendere nel sentimentalismo. I racconti brevi per le antologie, l’attenzione alla forma, che deve essere assoluta. I romanzi (dove è possibile lasciarsi andare di più, purché sorretti da una struttura adeguata), il piacere di tratteggiare ampi archi narrativi. Insomma, amo scrivere, e ringrazio la natura e le circostanze che mi hanno permesso e continuano a permettermi di farlo.

Grazie per averci dedicato il suo tempo

Grazie a voi. Sono state domande molto centrate, impegnative, belle. Utili anche per me.

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