23/04/2025
Roberta Lepri racconta ‘La gentile’: un romanzo di storia, emancipazione e riscatto
Interviste Prima Pagina

Roberta Lepri racconta ‘La gentile’: un romanzo di storia, emancipazione e riscatto

Feb 19, 2025

Roberta Lepri, autrice di La gentile (Ed. Voland), ci porta in una storia ispirata a vicende reali, dove il passato si intreccia con temi attuali come l’emancipazione femminile e le disparità sociali. Con uno sguardo attento e una narrazione coinvolgente, l’autrice restituisce la voce a figure altrimenti dimenticate, esplorando il contrasto tra ricchezza e povertà, privilegio e sacrificio. In questa intervista per L’Epoca Culturale ci racconta il suo approccio alla scrittura e il valore della memoria storica nella narrativa contemporanea.

  • Roberta Lepri, con La gentile parte da una storia vera e poco conosciuta per raccontare temi più ampi e universali come l’emancipazione femminile e le disparità sociali. Cosa l’ha spinta a raccontare la vicenda di Alice Hallgarten e di Ester?

Quando decido di scrivere una storia non c’è mai un solo motivo. Più cause concorrono a trasformare un’idea, inizialmente vaga, in qualcosa da raccontare. Ho incontrato Alice Hallgarten quando ero ancora molto piccola. Un ramo della mia famiglia alla fine del 1800 lavorava nella mezzadria e il mio bisnonno, Nello Lepri, aveva frequentato la scuola rurale fondata dalla baronessa nella villa di Montesca. Da parte materna, mia nonna, subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, fu una delle operaie di Tela Umbra, l’opificio di tessitura creato da Alice nel 1908– e tutt’ora esistente – per dare lavoro a giovani donne, soprattutto ragazze madri. La memoria dei Franchetti era ancora molto forte quando io ero piccola, sembrava indelebile. Ricordo il loro ritratto appeso in casa dei nonni, le vicende che li riguardavano avvolte da una specie di alone di santità. Quando sono cresciuta ho poi compreso a pieno l’incredibile e incessante lavoro della Hallgarten in favore delle  donne e dell’infanzia. Un bene che aveva comunque regole ferree. E allora mi sono chiesta fino a che punto potesse arrivare un progetto di questo tipo, tenendo conto delle differenze sociali. Quali fossero i vincoli che legavano il benefattore al beneficiato. Ho cercato di esplorare i limiti dell’amore e le possibilità date invece dall’odio, che come combustibile nelle storie trovo molto più efficace.

  • Nel romanzo il contesto storico è fondamentale, dalla vita nei grandi palazzi nobiliari all’esistenza dura e misera dei mezzadri. Quanto è stato importante per lei restituire la realtà dell’epoca e come ha lavorato per ricostruirla?

Naturalmente una storia come questa richiede molto studio. Ho approfondito la vita di Alice Hallgarten attraverso il libro “Cara Marietta”, un saggio della storica Maria Luciana Buseghin, che contiene le lettere scritte dalla baronessa a Maria Pasqui, che era il suo braccio destro, prima direttrice della scuola di Montesca e in seguito anche di Tela Umbra. Per la parte che riguarda il barone Leopoldo Franchetti un altro testo fondamentale è stato quello di Vittor Ugo Bistoni,Grandezza e decadenza delle istituzioni Franchetti”. Altri resoconti d’epoca, soprattutto articoli di giornale, sono stati importanti per ricostruire alcune vicende di Alice e Leopoldo. La vita della povera gente è stata molto più semplice da ritrovare e sicuramente più emozionante. Ho ancora i libretti colonici della famiglia Lepri dal 1916 al 1954, da cui ho potuto ricavare gli obblighi dei mezzadri nei confronti dei padroni, i debiti che si accrescevano di anno in anno, le spese. Scritti con la meravigliosa calligrafia, appresa dal mio bisnonno alla Montesca.  

  • La sua scrittura ha la capacità di restituire la storia senza appesantirla, mantenendo un forte coinvolgimento emotivo. Come riesce a bilanciare il rigore storico con la tensione narrativa e la profondità psicologica dei personaggi?

Questo è davvero il punto: dal rigore storico non si può uscire e allo stesso tempo lo si deve superare. Esiste l’obbligo della precisione ma bisogna anche tenere presente che si tratta di un romanzo, non di un saggio. Credo che sia importante avere una base solida e su quella far agire i personaggi. Ricordando a ogni frase che i personaggi sono persone. I meccanismi che li agitano – che ci agitano – sono sempre gli stessi. Cambiano gli oggetti esteriori, quello che c’è intorno, si passa dalla carrozza all’automobile, dal campo alla fabbrica,  ma il dolore di un figlio che non si sente amato è lo stesso nel 1910 e nel 2025. Il trauma dell’abbandono agisce ancora in modo prepotente in ogni epoca. L’odio, l’ingratitudine, la voglia di riscatto, sono capaci di spingere la gente in maniera grandiosa attraverso le situazioni più disparate. Chi scrive deve immergersi, entrare dentro la Storia e le storie, essere lì per davvero, disposto a soffrire insieme a quelle persone che in qualche caso ha inventato ma che poi, inevitabilmente, sono diventate vere.

  • La gentile è un romanzo che intreccia voci diverse e percorsi esistenziali opposti. Alice ed Ester sembrano costruite l’una in contrasto con l’altra: ricchezza e povertà, istruzione e ignoranza, privilegio e sacrificio. Come ha sviluppato il loro rapporto e cosa voleva raccontare attraverso questo contrasto?

È vero, le protagoniste sono raccontate una al rovescio dell’altra. Quando alla fine le ho viste, considerate nella loro completezza, ormai cresciute e definite, mi è parso di scorgerle su una bilancia, erano perfettamente in equilibrio. Ciò che Alice possiede – istruzione, ricchezza, intelligenza, serenità famigliare – manca a Ester. Eppure anche un’ereditiera così celebre e ammirata non può avere tutto.  Ciò di cui è priva ce l’ha la sua antagonista: Ester è forte, non si ammala mai (sono una barra di ferro, dice di se stessa con orgoglio), passa indenne attraverso due guerre mondiali e un’epidemia di Spagnola. Alice invece è fragile e sa di avere un orizzonte di vita molto limitato. Ester mette al mondo un figlio dopo l’altro, uno più bello dell’altro. Alice deve trasferire la sua voglia di maternità nella cura per i bambini poveri e per le donne senza mezzi. Il loro rapporto si sviluppa su diversi livelli. C’è l’incontro, l’innamoramento. C’è da parte di Ester la speranza di venire scelta, unica tra tante altre bambine, e di cambiare completamente vita. Poi il rapporto va in crisi. Alice nutre nei confronti dei suoi protetti un sentimento indistinto. Il bene da ricercare è quello di tutti,  non può dirigersi verso qualcuno in particolare. E poi sa che ha poco tempo da vivere, non vuole legarsi. Ed ecco che l’amore filiale di Ester si trasforma in ingratitudine. Quello che ha ricevuto, se pur tanto, le sembra poco. E comincia a odiare, con un rancore che la sostiene attraverso molte prove. In un lungo percorso di vita che la porterà infine ad accogliere anche le ragioni dell’altra e a capire i motivi dell’abbandono.

  • Il romanzo si interroga sulla condizione femminile in un’epoca in cui il ruolo delle donne era strettamente vincolato alla famiglia e alle convenzioni sociali. Oggi la storia di Alice ed Ester come e dove potrebbe essere contestualizzata?

Ancora oggi il ruolo della donna è vincolato alla famiglia e alle convenzioni. Lo è in Occidente, dove il fatto di avere un lavoro non esonera le donne dalla fatica della cura in casa, rendendole doppiamente legate, spesso costrette a occuparsi dei figli in solitudine, e lo è ancora di più in tutte quelle nazioni in cui vige un patriarcato protetto da leggi fatte ad arte e convenzioni religiose tese a un controllo spasmodico di tutto ciò che è femminile. Alice Hallgarten comprese nel 1900 che alla base dell’indipendenza della donna c’era il potere economico, il rapporto con il denaro. Tentò, con straordinaria modernità, di agire insieme sui due fronti dell’educazione e del lavoro. Naturalmente era però una donna nata nel 1874, anche lei pronta a tirarsi un passo indietro e a cedere al marito il merito delle proprie opere. Pronta a trasferirgli una dote milionaria alla vigilia delle nozze mettendosi così nelle sue mani e perdendo un potere decisionale senza filtri. La storia di Ester e Alice potrebbe essere oggi quella di una bambina migrante che sogna di venire adottata dalla propria tutor, che magari la segue ma non è disponibile a occuparsene completamente, e la lascia infine al suo destino quando crede abbia raggiunto un livello di benessere economico e psicologico sufficiente. La storia di un’illusione fondata sulla speranza. E per citare Elsa Morante “Una speranza, a volte, indebolisce le coscienze, come un vizio”.

  • I personaggi femminili dei suoi romanzi sono sempre caratterizzati da una forte complessità, spesso attraversano grandi sofferenze e trasformazioni. Qual è il suo approccio alla costruzione delle figure femminili e come nasce un personaggio come Ester?

Le mie costruzioni passano attraverso ciò che ho visto, conosciuto e vissuto. Racconto le storie delle donne che mi hanno preceduta, quelle delle mie amiche e confidenti, delle nonne, di mia madre. Oppure di creature che sono passate attraverso la storia in apparenza lasciando solo una flebile traccia o magari dimenticate (oggi leggevo della poetessa Laura Battiferri, vissuta nel 1500, nella sua epoca considerata vera e propria influencer, prima donna ammessa all’Accademia degli Intronati a Siena con il nomignolo di “Sgraziata”: perché mi era sfuggita? Come mai non ne sapevo niente?) Spesso travesto i miei personaggi femminili con filtri, con trucchi, capovolgimenti. Ester era il nome della mia bisnonna da parte materna. Che come il personaggio de La gentile era un’ebrea convertita (lo scoprimmo in maniera rocambolesca quando io ero adolescente), era stata balia e aveva riparato ombrelli. Le ho dato la mia pena, i miei sentimenti, li ho messi insieme con il suo ricordo (visse moltissimo, perciò l’ho conosciuta bene e frequentata a lungo). E ne ho fatto una creatura nuova.

  • Anche in Dna chef, romanzo con cui ha vinto il Premio Chianti 2024, ha raccontato una vicenda storica, portando alla luce pagine poco conosciute del passato. Cosa l’affascina di più nel recuperare storie dimenticate e trasformarle in narrativa?

Poco sopravvive al passare del tempo. Indagare la Storia, ridare vita a situazioni che spesso hanno avuto una tragica e conturbante bellezza, è un privilegio. Sapere che il lettore si stupisce per lo stupore che in origine è stato solo mio, una grandissima gioia.

  • La gentile è pubblicato da Voland, con cui ha già lavorato per Hai presente Liam Neeson? e Dna chef. Cosa l’ha spinta a scegliere di collaborare con questa casa editrice e come si inserisce il suo romanzo all’interno della loro visione editoriale?

È stata Voland a scegliermi, dopo avermi conosciuta grazie a un romanzo (Ci scusiamo per il disagio) pubblicato nel 2015 con Marcello Baraghini, storico editore di Stampa Alternativa. Daniela Di Sora mi chiese di inviarle una storia della stessa potenza, quando ne avessi scritta una. Nel 2020 le ho consegnato Hai presente Liam Neeson?, che è uscito nel 2021. I miei romanzi credo si inseriscano alla perfezione nella visione editoriale di Voland, del resto come ognuno di quelli pubblicati in questa e in altre collane. L’editrice è molto esigente e se una storia non la convince semplicemente non la pubblica. Non importa se sei già un’autrice in catalogo. Conta solo il libro. E questa è la più grande garanzia che si possa dare a chi scrive.

  • La copertina del libro è l’ultima creata da Alberto Lecaldano prima della sua scomparsa. L’uroboro, il serpente che si morde la coda, simboleggia l’energia che si rinnova. Come interpreta questo simbolo in relazione alla sua storia?

Uroboro, straordinaria creatura, che all’interno della storia è anche un braccialetto. Un serpente che si morde la coda, simbolo dell’energia che non si spegne, della vita che si rinnova. Uno dei primi simboli della madre Terra, e dunque del femminile. Ma quando smette di avvolgersi su se stesso diviene l’emblema della mascolinità, simbolo fallico per eccellenza. Un connubio, l’insieme di tutta l’energia vitale presente in natura. Meraviglioso regalo di Alberto Lecaldano, per me un messaggio chiarissimo di speranza da portare nel cuore. In relazione alla storia, è l’incontro degli opposti che sprigiona forza propulsiva e vitale, e che comprende amore e odio, come avviene tra Ester e Alice.

  • Lei ha scritto dieci romanzi e una raccolta di racconti, attraversando epoche e generi diversi. C’è un filo conduttore che lega tutta la sua produzione?

Ci sono alcuni temi che ritornano. Quello della famiglia e della difficoltà che comporta vivere in un ambiente che non accoglie e non ama i suoi figli. Quello del lavoro, come mezzo di sostentamento capace di dare o togliere la dignità alle persone. Quello dell’affettività come rischio, possibilità di frode, spesso mezzo manipolatorio. L’identità degli esseri umani, l’unicità eppure la somiglianza, una storia dopo l’altra, attraverso il tempo.

Grazie per il tempo che ha voluto dedicarmi.

Grazie a te per questo tempo insieme.

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