
Lo stupore dell’essere: Savagnone e l’attualità di Tommaso d’Aquino
Per L’Epoca Culturale abbiamo intervistato il professore Giuseppe Savagnone, filosofo e saggista tra le voci più ascoltate del dibattito culturale italiano. Nel suo nuovo libro, Lo stupore dell’essere, l’autore ribalta l’idea di un Tommaso d’Aquino relegato al passato e mostra invece come il suo pensiero possa ancora parlare all’uomo di oggi, immerso in una società dominata da tecnica, consumo e superficialità. Dagli anni di insegnamento nei licei al confronto con i giovani, dall’impegno pastorale alla scrittura giornalistica, Savagnone racconta come la filosofia possa uscire dalle aule e tornare a incidere nella vita quotidiana, offrendo strumenti per riscoprire verità, bene, felicità e soprattutto quello stupore originario che ci apre alla realtà.
- Professore Savagnone, nel suo libro lei ribalta l’idea che Tommaso d’Aquino appartenga solo al passato, mostrando invece quanto il suo pensiero possa illuminare questioni attualissime: verità, bene, male, felicità. Perché oggi, in una società dominata dal consumo e dalla tecnica, è ancora necessario tornare a interrogarci sullo “stupore dell’essere”?
Lo stupore non è sbalordimento per qualcosa di straordinario, ma semplicemente aprire gli occhi su ciò che è più comune e che la fretta e l’abitudine ci hanno sempre impedito di vedere. Spesso stressati da una corsa frenetica che non ci conduce da nessuna parte, non percepiamo più le persone, la natura, le cose, nella loro verità, nella loro bontà e nella loro bellezza, ma solo come “qualcosa” da consumare o da usare. Il messaggio di Tommaso ci può aiutare a cambiare questo atteggiamento, recuperando il rapporto con la realtà, che spesso abbiamo perduto, a livello personale e a livello sociale.
- Dopo quarantuno anni di insegnamento nei licei lei ha incontrato generazioni di studenti. Cosa le ha lasciato questo lungo dialogo con i giovani e come ha influito sul suo modo di raccontare la filosofia?
Il compito del docente non è solo di trasmettere conoscenze e competenze, ma di educare, cioè di aiutare dei giovani che sono alla ricerca di se stessi, in un’età delicatissima della loro crescita, a trovare la loro intima verità e il senso della loro esistenza. Ciò richiede un grande rispetto per i le persone, perché ognuna ha la propria identità, e l’insegnante deve solo aiutare a scoprirla, attraverso un dialogo in cui al primo posto sono le domande. Le risposte vanno cercate insieme, e questo significa che l’adulto deve sempre rimettersi in discussione per essere un compagno di strada in questa ricerca comune, fuggendo la tentazione del paternalismo e lasciandosi interpellare da problemi che non aveva mai affrontato. Questo è il modo in cui Socrate, più di duemila ani fa, ha inteso la filosofia e questo ha fatto di lui il modello del “maestro”, a cui ho cercato di ispirare il mio lavoro di professore.
- Il libro insiste sul dialogo tra fede e ragione. Lei che ha vissuto sia l’esperienza della scuola sia quella pastorale, come risponde a chi vede ancora queste due dimensioni come opposte?
Una fede senza ragione è superstizione o fanatismo, e di questi fenomeni vediamo ogni giorno l’esito nefasto nella vita dei singoli e della società. La fede dev’essere consapevole e messa in rapporto con la realtà del mondo e della vita, compito questo della riflessione razionale. Reciprocamente, una ragione che esclude la fede cade in una pretesa ridicola di autosufficienza , che le fa credere di potere ridurre a formule razionali, esaurendolo nei propri schemi, il mistero del reale . La cosa più ragionevole che la ragione può fare è di riconoscere di essere umana, cioè finita e che ci sono, come scriveva Shakespeare nell’Amleto, «più cose in cielo e in terra che in tutte le nostre filosofie»
- Dalla direzione dell’Ufficio per la Pastorale della cultura di Palermo al Forum della CEI, fino alle rubriche su RaiUno: il suo percorso, Professore Savagnone, è segnato dall’incontro tra fede, cultura e società. Qual è stata la sfida più grande nel portare la filosofia fuori dalle aule e dentro la vita quotidiana?
La sfida che sempre di nuovo ho dovuto e devo affrontare è si spingere le persone, credenti e non credenti, a fare la fatica di pensare, invece di affidarsi a formule precostituite e a slogan vuoti. Per chi crede speso la fede costituisce l’esonero dal pensiero, dalle domande, dal dialogo con chi ha idee diverse. Ma anche i non credenti spesso rifiutano la fede per motivi banali, come gli scandali che rendono poco credibile a volte la Chiesa, e che non sono certo una smentita della verità della Rivelazione cristiana. La fretta, l’ansia, il chiasso continuo in cui viviamo, favoriscono questa superficialità degli uni e degli altri.
- Nel libro la morale non è un complesso di doveri soffocanti, ma risposta al fascino del bene. Come tradurre questa visione in un contesto in cui la parola “morale” è spesso percepita come limite o imposizione?
Dovrebbero essere gli educatori a mostrare, già al bambino, che certi comportamenti lo fanno crescere e altri lo impoveriscono. E che, se il fine della nostra vita è la felicità, essa non può essere trovata in stati momentanei di euforia o di piacere, ma in una fioritura del proprio essere che scaturisce dalla costante ricerca di ciò che è vero, buono, bello.
- Lei ha coordinato progetti scolastici come “Comunicare educando & Educare comunicando”. Oggi che i ragazzi sembrano sempre più immersi nel digitale, come possiamo educarli a riscoprire lo stupore della realtà?
Internet è uno strumento prezioso per allargare gli orizzonti della nostra conoscenza, e può quindi favorire questo stupore. Purché non venga usato come un grande gioco sostitutivo del mondo reale, piuttosto che come strumento per indagarlo. Educare a questo positivo rapporto con il virtuale suppone però che si sappia trasmettere il gusto della realtà effettiva, non virtuale. E qui il grande problema che si pone è: “Chi educa gli educatori?”
- Professore Savagnone, nato e cresciuto a Palermo, è stato voce autorevole della cultura siciliana. Quanto il contesto della sua terra, con le sue contraddizioni ma anche con la sua straordinaria vitalità, ha influenzato il suo modo di leggere Tommaso d’Aquino e la filosofia in generale?
I siciliani siamo pieni di difetti, che ci hanno portato a rovinare molte potenzialità di sviluppo della nostra terra, ma siamo anche particolarmente portati alla riflessione e agli interrogativi. Non è un caso che tra gli autori fondamentali della nostra letteratura ci sia Pirandello. Credo che questo retroterra culturale faciliti l’accostamento a Tommaso, che era tra l’altro anche lui un uomo del sud.
- Lei è editorialista e conferenziere, ha collaborato con testate come Avvenire e Giornale di Sicilia. Quanto è difficile oggi comunicare concetti profondi come “essere” e “verità” in un mondo che sembra chiedere slogan e semplificazioni?
È una sfida a cui non si può rinunziare. La si può affrontare partendo da un’analisi critica del vuoto culturale e spirituale che l’abbandono di queste categorie intellettuali ha determinato non solo al livello del pensiero, ma a quello esistenziale. Tutti, se sono spinti a riflettere, possono rendersi conto della crisi profonda che la nostra vita personale e sociale sta attraversando a causa del dominio delle fake news, che rendono ormai impossibile stabilire la differenza tra realtà e illusione, tra verità e menzogna. Da qui l’esigenza di ritrovare, recuperando filosofie del passato, una prospettiva come quella di Tommaso, che non sia centrata esclusivamente sul soggetto e che lo valorizzi non come creatore, ma come esploratore della realtà.
- Professore, se dovesse sintetizzare in una frase la lezione più importante che il lettore dovrebbe portare con sé dopo Lo stupore dell’essere, quale sarebbe?
Riaprire, con occhi nuovi, il nostro dialogo con la realtà.
- Dopo una vita dedicata all’insegnamento, alla scrittura e al dialogo culturale, dove trova oggi, nel suo quotidiano, quello “stupore dell’essere” che dà il titolo al suo ultimo libro?
Per me non si tratta solo di una teoria, ma di una esperienza spirituale, che faccio incontrandomi con un volto, con la natura, con le cose che mi circondano. Di ognuna di queste realtà percepisco il loro emergere dal nulla non come qualcosa di scontato ma come un miracolo, come un dono, di cui essere grato.
Professore, grazie per il tempo che ci dedicato