“Il Gattopardo” su Netflix: tra critiche e riflessioni di una siciliana
Articolo di Milena Bonvissuto
Tra le mura della mia casa, lontana dalle cento stanze della tenuta Salina, con un timballo ben fatto e un buon bicchiere di vino rosso, ho terminato la visione della serie Netflix de Il Gattopardo. E, dopo una lunga riflessione, eccomi qui a condividere le mie impressioni a fare la guasta feste. Cominciamo.
La prima domanda che sorge spontanea è: davvero non avevamo attori siciliani capaci di portare sullo schermo il giusto accento? Se si è attori, si recita, certo. Ma la qualità della recitazione, ahimè, è stata ben al di sotto delle aspettative, risultando inferiore persino alla produzione televisiva del 1986. Kim Rossi Stuart e Deva Cassel, purtroppo, non sono riusciti a donare profondità e autenticità ai loro personaggi, rendendo il confronto con il capolavoro di Luchino Visconti ,unico.

La Sicilia Soleggiata, Troppo Soleggiata!
Da siciliana, e conoscitrice dei luoghi, non posso non chiedermi: perché ogni inquadratura della tenuta Salina è così incredibilmente soleggiata? Certo, la Sicilia è una terra calda e luminosa, ma non a tal punto da far quasi scomparire il portico! Una rappresentazione così esasperata finisce per sacrificare la veridicità a favore di una visione cinematografica troppo idealizzata.
La visione di Tom Shankland: una narrazione patinata
Tom Shankland, caro regista, intuisco la tua visione cinematografica, ma il risultato appare troppo “patinato”. Hai sacrificato la profondità storica e la lentezza contemplativa che rendevano il romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa così speciale, preferendo un ritmo più veloce e, oserei dire, troppo commerciale. La scena del valzer, emblema del desiderio e dell’eleganza nel romanzo e nel film di Visconti, è stata ridotta a un momento anonimo. E non parliamo della colonna sonora orchestrata: un sacrilegio che ci fa rimpiangere il passato.
I Punti!

Nonostante le criticità, ci sono anche aspetti che i siciliani, me compresa, abbiamo apprezzato. La scena in cui Tancredi e Don Fabrizio si confrontano sottolinea perfettamente la realtà siciliana con una battuta che dice tutto: “Tieni, sempre in Sicilia siamo e si sa come funziona dalle nostre parti.”Inoltre, la figura losca di Rossi e l’accentuazione dell’atteggiamento mafioso del Sindaco danno una chiave di lettura interessante. Ed ecco l’altro cruccio: perché tagliare le”parti spicy” che nel libro si colgono, che suggerivano il desiderio dei giovani, nelle stanze in disuso dove un tempo uno degli antenati dopo aver fatto l’amore chiedeva perdono?
Comunque volete sapere una cosa?
Alla fine, c’è un vincitore indiscusso: Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Lo immagino, sorridente, immortalato in una delle sue ville cittadine mentre pensa: “E chi doveva dirlo, con un solo libro continuo a far parlare di me. E pensare che nessuno voleva pubblicarmi!” Mi chiedo cosa direbbe ora Sciascia, che lo considerava conservatore e reazionario, o Aragon, che invece lo definì progressista, e i miei parenti Santi? Ah che soddisfazione!
E adesso il mio pensiero.
Forse, alla fine, aveva ragione Don Fabrizio Salina: “Garibaldi non ci ha liberati, ma ha reso una terra ricca alla mercé di tutti.” Sorseggiando il mio vino, mi dico che sì, parlane, sparlane, ma l’importante è che se ne parli!.
(Foto dal web)