
Al Teatro Donnafugata di Ragusa Ibla, Stefano Sabelli incanta con “Figli di Abramo”
RAGUSA – Al Teatro Donnafugata di Ragusa Ibla, Stefano Sabelli ha emozionato il pubblico con “Figli di Abramo”, una rivisitazione teatrale di “Abrahams Barn” del drammaturgo norvegese Svein Tindberg, tradotta e diretta da Gianluca Iumiento. Questo capolavoro, già un “blockbuster” del teatro di narrazione in Norvegia, è stato portato per la prima volta in Italia dalla produzione del Teatro del Loto, che dal 2022 ha avviato un tour di successo ancora in corso. Lo spettacolo, accompagnato dalle suggestive note della fisarmonica di Manuel Petti, e con la collaborazione di Marco Molino, Daniele Giardina, Irene Apollonio e Lorenzo Mastrogiuseppe, si presenta come una narrazione appassionante che intreccia spiritualità, storia e umanità
La trasposizione italiana è arricchita da esperienze personali di Stefano Sabelli in Medio Oriente, che rende il testo norvegese originale di Svein Tindberg una narrazione più vicina a noi, dal tono vivace e ironico. Figli di Abramo celebra la ricerca di una “terra promessa” come metafora di un pellegrinaggio spirituale e terreno, evidenziando le origini comuni e i valori condivisi delle tre grandi religioni, pur senza ignorare i conflitti ereditati.
LA TRAMA
“Figli di Abramo” è un viaggio narrativo che intreccia storia, mito e leggenda del primo credente monoteista dell’umanità, Abramo.

Il protagonista e una guida palestinese amante dei western, partono da Gerusalemme alla ricerca dell’ Abramo perduto, iniziando quindi a ripercorre il peregrinare di Abramo dalla Mesopotamia all’Egitto, fino alla Cisgiordania e alla Penisola arabica, esplorandone il ruolo di figura innovatrice e simbolo spirituale condiviso da Ebraismo, Cristianesimo e Islam.
In un mondo segnato da divisioni, lo spettacolo si propone come una riflessione epica sulla necessità di consapevolezza reciproca e di gioia nella condivisione tra comunità diverse. È dedicato alla memoria di Padre Michele Piccirillo e dell’architetto Roberto Sabelli, figure simboliche di pace e dialogo in Palestina e nel mondo.
Figli di Abramo, un viaggio millenario tra fede e identità
Stefano Sabelli conduce gli spettatori in un viaggio narrativo che abbraccia 4.000 anni di storia, esplorando le radici comuni delle tre grandi religioni monoteiste: Ebraismo, Cristianesimo e Islam. Con ironia raffinata e mai irriverente, Sabelli guida il pubblico alla scoperta di Abramo, non il patriarca settario di una singola fede, ma il simbolo universale di chi per primo concepì l’idea di un Dio unico in un mondo politeista.
La narrazione è arricchita da immagini evocative che scorrono sullo sfondo, opera dell’artista visiva Kezia Terracciano, che aiutano il pubblico a rivivere le tappe del percorso di Abramo e rendere vive antiche città come Babilonia e Ninive, capitali di civiltà ormai perdute. Grazie alla maestria di Sabelli, questi luoghi prendono vita in modo vivido, trasformando la platea in un “viaggiatore” curioso e coinvolto. Il Viaggio di Abramo è lungo un’intera vita, è un viaggio sia fisico che spirituale, di chi è sempre alla ricerca. Ma da qualunque “angolazione” si guarda questo viaggio, il percorso di Abramo risulta sempre essere quello di chi non si discosta dal suo Dio, da Zaddik ,un Giusto, come viene descritto nella Torah, o da Hanif, colui che vive la fede in purezza, secondo la definizione del Corano
Ironia, musica e riflessioni profonde
Non mancano momenti di sana ironia come il tocco di leggerezza dato dalla celebre melodia tanto amata dalla guida turistica che accompagna il protagonista: “Lo chiamavano Trinità”, un sapiente diversivo che non manca di alludere alla fede cristiana ma al contempo suscita ilarità, visto che la guida è di religione islamica. Particolarmente incisivo verso la fine è il dialogo che il protagonista ricorda di aver avuto con un rabbino, che culmina in una riflessione potente e attuale: la pace, shalom, che potrebbe essere la chiave per unire ciò che oggi sembra irrimediabilmente diviso.
In un momento storico segnato da conflitti drammatici nei territori protagonisti di questa storia, “Figli di Abramo” si rivela uno spettacolo quanto mai attuale. L’idea di una comune radice spirituale invita a riflettere sul valore della convivenza e sul significato profondo della parola “pace”, oggi invocata ma drammaticamente lontana. Chi esce dalla sala non può che sentirsi arricchito, proprio come gli antichi greci desideravano attraverso l’esperienza teatrale: una mente aperta e un cuore colmo di nuovi spunti di riflessione.
Stefano Sabelli

Fondatore e direttore del Teatro del Loto, noto per il suo interesse verso religioni e civiltà, prosegue il suo percorso artistico di teatro di narrazione con “Figli di Abramo”. Questo spettacolo si inserisce nel dittico “Le Vie dei Profeti”, che include anche “Le Vie del Buddha”, monologo ispirato al suo viaggio in Afghanistan nel 2001 durante la guerra e focalizzato sulla distruzione dei Buddha di Bamiyan e il genocidio del popolo Hazara.
Con “Figli di Abramo”, Sabelli interpreta e arricchisce il testo di Svein Tindberg, Abrahams Barn, trasformandolo in un’esperienza unica per il pubblico italiano. Unendo riflessioni tratte dalla sua esperienza diretta in Palestina e Gerusalemme a una narrazione già densa di contenuti storico-religiosi, offre una versione ricca di sfumature, ironia e profondità culturale, rendendo il tema delle radici comuni delle grandi religioni monoteiste ancora più coinvolgente e significativo.