L’appuntamento
di Giuseppina Tesauro

Paola si fermò con il respiro corto e si appoggiò per un istante al palo della luce, il cuore le batteva così forte da sentire le pulsazioni fin dentro le orecchie. Aveva corso per tre isolati con la paura di arrivare in ritardo all’appuntamento e adesso si trovava davanti all’ingresso di uno stabile quasi fatiscente. Avanzò perplessa e pensò di aver sbagliato qualcosa, ma la targa sul muro scrostato al lato del portone non lasciava dubbi: “Agenzia New Style”.
Entrò e una volta in ascensore si guardò allo specchio, alla luce tremolante del neon notò che il top si era spostato e i cargo erano più giù del necessario:
“Eh, che cazzo! – imprecò – pure il trucco sbavato sugli occhi! Dopo tutto il tempo che ho perso con l’eyeliner”.
Si aggiustò alla meglio il top ed i cargo, per gli occhi pazienza, decise mentre si fiondava fuori dall’ascensore.
Strizzando gli occhi per il buio trovò la porta dell’ufficio alla sua sinistra, suonò il campanello e un “click” automatico la invitò ad entrare. L’ interno di quell’ufficio, se possibile, era peggio del palazzo visto da fuori.
La ragazza alla reception le riservò lo stesso interesse che si può accordare ad una macchia di caffè su una tuta mimetica, Paola quindi cercò di attirare la sua attenzione schiarendosi la voce,
«Scusi ho ricevuto questa dal vostro ufficio».

Le porse la lettera di convocazione, che la ragazza prese allungando una mano con le dita stracolme di anelli e unghie lunghissime laccate di viola; la lesse svogliatamente ruminando il suo chewing, che di tanto in tanto prorompeva in palloncini scoppiettanti
<<L’appuntamento è fra mezz’ora,» sbuffò con l’aiuto di un palloncino, «non sapete nemmeno leggere! Siediti accanto a quell’altra che sta aspettando>>.
Nella penombra Paola individuò il punto che le stava indicando e pensò che in quell’ufficio avevano problemi con le bollette della corrente elettrica.
«Manca poco che debba camminare con le mani avanti come i non vedenti per trovare la sedia», mugugnò a denti stretti.
Il vetro sporco di polvere misto a pioggia non lasciava filtrare che pochi raggi di sole. Era un pomeriggio di un settembre già stanco, così Paola si trovò a dover immaginare i lineamenti di quella donna seduta vicino al cestino traboccante di rifiuti.
La poveretta muoveva nervosamente una gamba mordicchiandosi il labbro inferiore, guardò di sfuggita Paola e tornò a dare un’occhiata all’orario sul display del cellulare: chissà da quanto tempo aspettava!
Paola pensò allora che il problema non fosse tanto il suo anticipo quanto il ritardo di qualcun altro, magari proprio del Direttore. La sedia traballò sotto il peso della nuova arrivata, che si alzò di scatto temendo di finire a terra, si riaggiustò tastando bene con la mano la seduta prima di riprovarci e finalmente si accomodò stando in equilibrio come i fenicotteri su una gamba sola.

“Tutto ciò è ridicolo! Ma come fanno questi a definirsi uno studio di Stilisti?”
I pensieri e le delusioni cominciarono ad affollare la mente: “No, Paola, non cascarci. Niente pensieri negativi. Distraiti!”
E cosa c’era di meglio se non lasciare la mente a crogiolarsi su ciò che le era capitato poco prima dentro l’ascensore della Banca?
Oddio, le cose che possono accadere! Si stava perdendo in quell’istante magico, ma
«Sì Direttore, ce ne sono rimaste due soltanto» gracchiò la segretaria con immancabile scoppio di palloncino a seguito.
La voce della ragazza che parlava all’interfono, la riportò nella stanza da cui voleva evadere. Sentì dei capogiri e il cuore quasi in gola per la paura di ciò che sarebbe potuto accadere di lì a poco, dietro quella porta, dove si sarebbe giocata la sua unica carta: un solo posto disponibile, recitava l’annuncio.
Iniziò a sudare.
Senza accorgersene, con le mani tremanti, cercò la borsa al lato della sedia e ne estrasse la busta con i suoi lavori, ci mancò davvero poco che tutti i fogli finissero sparsi su quel pavimento pieno di macchie di caffè e cenere di sigarette.
Avrebbe voluto rivedere la sua presentazione, ma in quello stato sentì che poteva solo essere controproducente.
Non si riconosceva, lei era una persona calma e paziente, le sue più grandi doti. Lo era sempre stata, “La pazienza non è forse la virtù dei forti?” si disse “Perciò respira lentamente, concentrati e soprattutto: ricomincia da qui”.

Lei credeva nel destino, quello con “D” maiuscola, e se quel giorno era finita là, doveva pur significare qualcosa.
Si aprì la porta della stanza, uscì il Direttore.
«Tu, qui? Come hai fatto a trovarmi!»
Era lui, era proprio lui: l’uomo dell’ascensore!