16/11/2025
L’intelligenza artificiale e l’infanzia: tra magia, immaginazione e rischio di illusione
Armonia Digitale Rubriche

L’intelligenza artificiale e l’infanzia: tra magia, immaginazione e rischio di illusione

Ott 20, 2025

Un bambino seduto davanti a uno schermo, circondato da voci e immagini generate dall’intelligenza artificiale. Dialoga, ride, fa domande. Dall’altra parte, non c’è un amico, né un adulto, ma un algoritmo che simula empatia, curiosità e attenzione. È questa la nuova frontiera del gioco infantile?

Negli ultimi anni, i sistemi di intelligenza artificiale generativa hanno iniziato a entrare nel mondo dei più piccoli con una rapidità sorprendente. Chatbot, assistenti vocali e giocattoli “intelligenti” promettono esperienze personalizzate, storie su misura e compagni di gioco virtuali capaci di adattarsi all’umore del bambino. Per molti genitori, rappresentano una soluzione affascinante: un supporto che intrattiene e stimola la fantasia, offrendo anche momenti di tregua nella quotidianità frenetica.

Ma il confine tra gioco e realtà, tra apprendimento e suggestione, si fa sottile. Alcuni bambini, immersi in queste interazioni, arrivano a credere che dietro la voce digitale ci sia una presenza reale. La linea che separa l’immaginazione – sana e creativa – dall’illusione diventa sfumata. E gli esperti avvertono: più le macchine imitano le emozioni umane, più cresce il rischio che i bambini sviluppino una fiducia o un legame emotivo verso ciò che non può davvero ricambiare.

La questione non è nuova: ogni rivoluzione tecnologica ha suscitato timori simili. La radio, la televisione, i videogiochi – tutti, a loro tempo, accusati di sostituire il dialogo umano con uno schermo. Ma con l’intelligenza artificiale, l’interazione si fa bidirezionale: il bambino non assorbe passivamente, dialoga. E in quel dialogo, crede di essere ascoltato.

Gli psicologi dello sviluppo ricordano che durante l’infanzia si costruisce la capacità di distinguere ciò che è animato da ciò che non lo è. È un processo fondamentale per imparare a fidarsi, comprendere le intenzioni e costruire relazioni autentiche. Quando un assistente digitale risponde con voce calda o si mostra “comprensivo”, può interferire con questa crescita. Non perché il bambino sia ingenuo, ma perché il suo cervello, ancora in formazione, interpreta la coerenza emotiva come presenza viva.

D’altra parte, l’intelligenza artificiale può essere uno strumento potente se guidato con consapevolezza. Alcuni programmi educativi, sviluppati con rigore pedagogico, aiutano i bambini a imparare a leggere, scrivere o risolvere problemi logici. La chiave sta nell’intenzionalità del progetto: l’IA può essere un ponte verso la creatività solo se non sostituisce il pensiero umano, ma lo accompagna.

Il rischio, altrimenti, è l’omologazione. Se la creatività dei bambini viene nutrita da modelli generativi che “prevedono” la prossima parola o immagine più probabile, la varietà dell’immaginazione potrebbe ridursi. La fantasia, per natura, nasce dall’imprevisto e dall’errore, non dalla perfezione algoritmica.

E così, mentre le aziende corrono a sviluppare peluche parlanti e compagni digitali “empatici”, il mondo adulto si interroga: stiamo offrendo ai nostri figli strumenti di crescita o surrogati di relazione?

L’infanzia è fatta di scoperte, stupori, domande senza risposta. La tecnologia può entrare in questo spazio, ma non può occuparlo del tutto. L’IA può raccontare una storia, ma non può ascoltare davvero. Può simulare affetto, ma non provare amore.

Il compito dei genitori e della società è oggi più che mai delicato: insegnare ai bambini a riconoscere la differenza tra il reale e il virtuale, tra l’eco di una voce e la presenza di uno sguardo.
Perché, in fondo, la meraviglia del gioco non sta nel credere che la magia esista, ma nel sapere di poterla inventare da soli.

Articolo a cura di  Letizia Basile