
La labilità del reale nelle opere di Luigi Pirandello
Articolo a cura di Lydia Salmeri

Per comprendere la concezione che Luigi Pirandello ebbe dell’ uomo e del mondo è opportuno prendere in considerazione la delusione che nella seconda metà dell’ Ottocento provarono tanti intellettuali europei e italiani di fronte al declino del Positivismo allorquando era venuto meno l’ ottimismo della cultura occidentale e il mito del progresso inarrestabile della civiltà. In Italia la fine delle antiche certezze coincise con la delusione post-risorgimentale e dalla visione di un mondo che andava dissolvendosi sotto il profilo umano e sociale.
In tale contesto Pirandello maturò una concezione della vita pessimistica e basata sulla relatività assoluta. Lontano ormai dalle “ corrispondenze” di Baudelaire e dal “ superomismo di D’ Annunzio egli si allontana del tutto dal panorama culturale di fine ottocento. Al contrario, come negli autori del Novecento ( Kafka, Joice, Woolf, etc ), è presente nell’ autore il tema dell’ alienazione e dell’incomunicabilità. Ciò deriva dal venir meno dei valori a causa della diffusione delle macchine che destinano l’ uomo ad un automatismo incontrollabile.

Ne consegue l’ idea della perdita di senso della vita e dell’essere come anche della frantumazione dell’ identità individuale. Il tema dell’ alienazione dell’ uomo e dell’ intellettuale nella società contemporanea è presente nei Quaderni di Serafino Gubbio operatore dove si avverte la polemica contro la moderna civiltà delle macchine. Serafino Gubbio, operatore cinematografico è in grado di cogliere ciò che sta al di là delle apparenze, delle “ maschere” che gli uomini indossano senza accorgersene. Egli sta lavorando a un film dal titolo La tigre la cui scena finale prevede l’ uccisione di una tigre. Aldo Nuti, l’ attore incaricato di uccidere la tigre decide di vendicarsi dell’ attrice che lo ha lasciato e mentre sono in corso le registrazioni, uccide la donna con l’arma che ha in mano. Egli muore a sua volta sbranato dalla tigre. Serafino abituato a osservare dall’ esterno la realtà, si limita impassibile a registrare la scena finendo con l’ identificarsi con la macchina da presa. Per lo shock egli diviene muto rinunciando definitivamente a ogni forma di comunicazione e di sentimento. Nel romanzo la macchina da presa simboleggia la realtà fittizia che si oppone alla vita interiore del protagonista fatta di sentimenti e stati d’animo. L’individuo è in balia di un flusso continuo dominato dal caso e quando egli cerca di opporvisi finisce imbrigliato in maschere in cui non può mai realmente riconoscersi. Deriva da ciò per Pirandello il senso della casualità e della relatività delle vicende umane nonchè l’ impossibilità di sfuggire alle convenzioni sociali e di esistere al di fuori della forma.
Rinveniamo questo aspetto nel protagonista de Il fu Mattia Pascal che si trova “intrappolato” all’ interno della sua famiglia ed è destinato a una vita infernale a causa della moglie e di una suocera insopportabile. Mattia cerca di fuggire da questo tormento andandosene via da casa e cercando di costruirsi un’altra esistenza sicchè adotta una nuova identità e si presenta sotto il falso nome di Adriano Meis. Presto tuttavia si rende conto che non avendo nessun documento che attesti la sua nuova identità, egli non è nessuno. Non può neanche denunciare un furto che è stato commesso ai suoi danni, nè sposare la ragazza che ama. Simulando il suicidio di Adriano Meis per poter recuperare l’ identità di prima, Mattia decide pertanto di ritornare al proprio paese ma qui ritrova la moglie che si è risposata con un altro uomo e deve constatare che tutti lo hanno dimenticato. Trascorre così i suoi giorni portando di tanto in tanto un mazzo di fiori sulla sua tomba e a coloro che gli chiedono chi sia, risponde: “ Io sono il Fu Mattia Pascal.”
Il relativismo psicologico di Mattia Pascal ritorna nel romanzo Uno, nessuno e centomila. Le due personalità che coesistono in Mattia diventano ora “ centomila”. E’ presente in questo romanzo l’immagine della disgregazione dell’ identità dell’ uomo contemporaneo. Ciò si riflette attraverso la storia del protagonista, Vitangelo Moscarda, che per una frase casualmente pronunciata dalla moglie, scopre di avere il naso storto. Da questo fatto apparentemente insignificante Moscarda si accorge di non essere per gli altri ciò che egli stesso ritiene di essere; anzi si rende conto che ogni persona che incontra vede di fronte a sè un Moscarda diverso.

Dunque non è “ uno” ma è centomila ( se centomila sono le persone che lo osservano) e in definitiva, non è nessuno. Di fronte alla scoperta dell’ illusorietà del concetto di identità decide di mettere a nudo le centomila maschere che gli altri gli hanno imposto; vende tutto ciò che possiede e si rinchiude in un ospizio costruito con il suo denaro annullando ogni legame con il suo passato. Rispetto alle altre opere di Pirandello il romanzo si avvia tuttavia verso una conclusione positiva. Il protagonista si dichiara guarito dal pericolo di vivere imprigionato da una maschera poichè ha scelto di aderire alla vita e di identificarsi completamente nella natura. Il nichilismo di fondo della visione pirandelliana del mondo non viene tuttavia eliminato; ne esce al contrario rafforzato.
Attraverso l’ Enrico IV portato in scena nel 1922, Pirandello torna a riflettere sul tema del rapporto tra finzione e realtà e arriva a concepire la vita come una “ mascherata”, come una commedia assurda in cui ognuno deve recitare la sua parte. Il protagonista della commedia è un giovane aristocratico che durante una cavalcata in costume indossa i panni dell’ imperatore Enrico IV. A seguito di un incidente provocato da Belcredi, suo rivale in amore, egli perde la ragione e crede di essere veramente Enrico IV.
I familiari per proteggerlo assecondano la sua follia permettendogli di vivere in un castello attorniato da servi e scudieri. Dopo otto anni Enrico IV rinsavisce ma avendo scoperto che Belcredi e la donna amata, Matilde, sono diventati amanti, decide di continuare a fingersi pazzo per non rientrare in una realtà deludente. Per vendicarsi di Belcredi egli lo addita davanti a tutti come il responsabile della sua caduta e lo trafigge con un colpo di spada. Dopo l’ omicidio Enrico IV è costretto a continuare a fingersi pazzo per non subire alcuna condanna. Scopre dunque che quella che gli era sembrata una scelta di libertà ( la maschera del pazzo) è una condanna dalla quale non può liberarsi. La pazzia stessa del resto è una maschera con cui ci si libera dalle imposizioni e dalle regole.

E’ ciò che accade anche a Belluca, protagonista della novella Il treno ha fischiato. Belluca è un modesto impiegato d’ ufficio che come il protagonista de Il fu Mattia Pascal vive da anni nella “ prigione” soffocante della famiglia dove convive con una moglie, una suocera, la sorella della suocera, due figlie vedove con sette figli. Ogni giorno , paziente e sottomesso, lavora in ufficio e a casa fino a tarda notte ricopiando i registri, per sbarcare il lunario. Una notte Belluca ode all’improvviso il fischio di un treno e aveva cominciato a pensare a un viaggio in luoghi esotici o in posti visitati in gioventù. Egli aveva compreso che al di là di quella vita orribile c’ era il mondo il cui pensiero l’avrebbe consolato dalle frustrazioni quotidiane. Comincia a ribellarsi al capoufficio e a ripetere di aver sentito il “ treno fischiare”. Viene ricoverato in ospedale nella convinzione che sia diventato folle. Belluca ritorna quindi al suo mondo di sempre convinto tuttavia della possibilità di poter “ evadere” con l’ immaginazione tutte le volte che voleva. La novella mette bene in luce le contraddizioni della realtà e l’ infelicità a cui l’ uomo è costretto dalle convenzioni sociali. La follia pertanto non è altro che una rottura delle conseutidini di vita e degli equilibri sociali convenzionali. Invano l’ uomo si ribella e cerca di fuggire da quella forma in cui è stato chiuso. E anche se riesce a liberarsene a un tratto, ciò è un’ illusione di breve durata perchè presto viene intrappolato in quella forma alla quale la società lo ha destinato. Attraverso la sua scrittura Pirandello espresse il disagio del mondo contemporaneo di fronte al dissolversi dei suoi miti e delle sue certezze. Convinto che fosse impossibile individuare nuovi valori da contrapporre ai vecchi, sulla scia di Schopenauer approdò ad una visione pessimistica e nichilista del vivere. Nel saggio Arte e coscienza d’oggi, l’autore sostiene che la condizione dell’ uomo moderno è segnata dalla contraddizione, dall’impossibilità di trovare una verità univoca e dalla relatività assoluta.