21/03/2025
Angela Caputo e “Bianca vestita di nero”: un romanzo che riscopre la memoria dei campi di internamento italiani
Interviste Prima Pagina

Angela Caputo e “Bianca vestita di nero”: un romanzo che riscopre la memoria dei campi di internamento italiani

Gen 30, 2025

In questa intervista, l’autrice Angela Caputo ci racconta la motivazione che l’ha spinta a scrivere un romanzo ambientato in un periodo oscuro della storia italiana. Con “Bianca vestita di nero“, l’autrice omaggia la memoria della sua famiglia e delle vittime della Seconda Guerra Mondiale. Tra ricerche storiche e riflessioni personali, Angela Caputo ci parla della complessità umana e del valore della memoria storica, indispensabile per non dimenticare gli orrori del passato.

  • Angela Caputo, qual è stata la motivazione principale che l’ha spinta a scrivere un romanzo su un periodo così oscuro della storia italiana?

Grazie per l’opportunità di questa intervista, la motivazione principale è stata quella di rendere omaggio a mia nonna che ha vissuto personalmente la guerra con perdite importanti, tra l’altro nei miei ricordi d’infanzia lei è sempre stata presente con racconti relativi a quel periodo storico che ha segnato la mia formazione. Inoltre anche a scuola ho avuto la fortuna di conoscere insegnanti reduci da quel periodo e soprattutto dalla tragedia della Shoah che ci hanno raccontato esperienze come sopravvissuti e quindi parliamo di fonti dirette.

  • Quali sono state le maggiori difficoltà che ha incontrato nel coniugare la fedeltà storica con gli elementi di finzione narrativa?

Le difficoltà sono state tante soprattutto in un contesto nel quale avrei rischiato di essere banale, invece attenermi alla fedeltà storica ha fatto sì che la trama si legasse in modo uniforme con la storia.

  • Il rapporto sentimentale tra Bianca e Goran rappresenta un conflitto tra ideologie e valori personali. C’è qualcosa di autobiografico o che in qualche modo ha toccato la vita di persone a lei vicine ad averla ispirata in questa dinamica?

Sotto l’aspetto ideologico non ho aspetti autobiografici che si legano ai due protagonisti, sotto il discorso relativo ai valori sì: credo nella diversità che unisce e non divide, anzi a volte ci si innamora proprio di persone che sono totalmente opposte rispetto a noi e non è l’impossibilità a vivere quel sentimento che fa bloccare lo scoppio di una passione.

  • Come ha effettuato le sue ricerche sul campo di Ferramonti di Tarsia, un luogo spesso trascurato nella memoria collettiva?

Ho iniziato cercando sul web informazioni generali, poi mi sono rivolta alla locale sede dell’Aned (Associazione nazionale degli ex deportati), da cui ho preso in prestito diversi testi sui campi di concentramento italiani, chiamati di internamento, secondo una successiva revisione storica errata a mio avviso perché un filo spinato non rende un campo più umano rispetto a un altro: è sempre campo di reclusione ! Non si possono fare paragoni con i campi tristemente famosi in quanto in quel caso parliamo di vere e proprie macchine di sterminio camuffate in campi di lavoro. Infine sono andata a visitare direttamente il campo di Ferramonti che si trova all’uscita dell’autostrada di Tarsia (Cosenza) in Calabria.

  • Primo Levi, Victor Frankl e Nietzsche sono citati nella pregevole prefazione di Elena Midolo. Quanto hanno influenzato la sua visione del romanzo e il modo di rappresentare la sofferenza?

Tra questi citati sicuramente Primo Levi è l’autore emblematico per il suo coraggio come testimone della deportazione, un coraggio che non tutti i sopravvissuti hanno avuto,  soprattutto perché si è innescato in molti di loro una specie di vergogna nel definirsi quasi fortunati se non addirittura in colpa per aver scampato l’olocausto. Il suo vissuto è stato prezioso per entrare nella psicologia di una persona deportata che pur vivendo in un campo di internamento italiano si sente quasi graziata per non essere stata destinata in altri tristi luoghi. E quindi la sofferenza viene descritta come uno scampare un pericolo peggiore guadagnando un giorno in più di vita in uno dei periodi più folli e cruenti della storia.

  • Quanto è stato importante per lei rappresentare la complessità psicologica dei personaggi, in particolare quella di chi viveva come oppressore o come oppresso?

Non è stato facile entrare nella psicologia dei personaggi, non solo quelli oppressi ma addirittura anche degli oppressori anzi questi ultimi sono stati i più ostici da descrivere per me e credo quelli che alla fine sono più odiati per chi li legge. Il personaggio che però mi è rimasto più a cuore in quanto il più sofferto nella stesura del romanzo è proprio l’ufficiale Franz Fisher. Chi leggerà “Bianca vestita di nero” subirà vere e proprie montagne russe con lui e sorprese fino all’ultima pagina.

  • Angela, quale messaggio spera che i lettori portino con sé dopo aver letto “Bianca vestita di nero”?

Il messaggio è già presente nel titolo. Non tutto ciò che riteniamo bianco o nero lo è davvero nella realtà e spesso l’apparenza ci può ingannare. Il bianco può diventare metaforicamente nero e viceversa.

  • Michel Fingesten è un personaggio reale menzionato nel romanzo. Perché ha scelto di omaggiarlo in questa opera?

Ho scelto proprio il maestro Fingesten per ricordare tutti gli artisti che furono censurati durante i regimi totalitari. In particolare, lui è stato in qualche modo fortunato se è riuscito a continuare ad esercitare la sua arte all’interno del campo. Questo è un fatto reale di cui sono presenti foto e filmati d’epoca del maestro che faceva lezione con i bambini deportati e dipingeva nel suo atelier. Anche in questo caso ho fatto un lavoro di documentazione recuperando il libro delle tavole del maestro con i suoi dipinti e le illustrazioni degli ex libris. Credo che Fingesten è un artista del ‘900 poco conosciuto che andrebbe valorizzato anche nelle scuole visto che esiste anche l’equazione Picasso sta alla pittura come Fingesten sta all’incisione in quanto la sua opera di incisore fu nota addirittura a Mussolini (che gli commissionò un ritratto) e a tutta l’elite fascista dell’ epoca.

  • Come pensa che il suo romanzo possa contribuire al dibattito sull’importanza della memoria storica nel contesto attuale?

Il mio obiettivo era e rimane quello di contribuire alla conoscenza dei campi di concentramento (revisionati in internamento) fascisti italiani, che siano citati nei libri di storia perché non è ammissibile che insegnanti di Lettere che hanno letto il libro mi dicano di non conoscere la loro esistenza! L’Italia ha preso parte al progetto di deportazione e ci sono campi di questo tipo sparsi per tutta la penisola. Per il 27 gennaio la memoria storica va accesa affinché non si dimentichi ma si conosca quanto accaduto non solo all’estero ma soprattutto in Italia.

  • Qual è stato l’aspetto più impegnativo nel dare voce ai ricordi e alle sofferenze di un personaggio come Goran, che rappresenta simbolicamente milioni di vite spezzate?

È stato doloroso per me rivivere l’esistenza di un deportato in un campo di concentramento, anche in questo caso ho utilizzato il diario del cappellano di Ferramonti che era a contatto con i reclusi. A un certo punto mentre scrivevo ho iniziato anche io a non mangiare

L’Autrice Angela Caputo è rappresentata dall’agenzia Sopralerighe di Marylin Santaniello

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