
Il fornaio libanese di Eugenio Cardi: la resistenza delle parole, il pane della memoria
Nel cuore devastato della Beirut del 1982, durante l’invasione israeliana del Libano, si dipana la storia di Ibrahim, ex professore di letteratura divenuto fornaio. È proprio nel quartiere martoriato di Chatila, nel pieno dei bombardamenti e delle tensioni interconfessionali, che l’uomo trasforma il panificio ereditato dal padre in un baluardo di resistenza e dignità. Qui, tra farina e poesia, tra versetti e gesti antichi, si impasta molto più che pane: si costruisce memoria, si protegge la cultura, si alimenta la speranza. Come dice lo stesso Ibrahim, “ogni pane che sforno è una lezione che insegno. Sulla pazienza, sulla speranza, sulla vita che continua”.
Attorno a Ibrahim si muove una Beirut lacerata ma viva, attraversata da militanti, rifugiati, civili in fuga, ognuno con la propria storia e il proprio dolore. Tra loro spiccano Najma e Zaynab, sorelle palestinesi cresciute nei campi profughi dell’UNRWA, che scelgono – pur da luoghi e percorsi diversi – di resistere all’invasione armata e all’ingiustizia. L’una rimasta a Beirut con la madre Layla, l’altra in Cisgiordania accanto al padre Tariq, rappresentano i due volti di un’unica lotta: quella per l’autonomia, la libertà e il diritto al ritorno.
L’autore, Eugenio Cardi, ci guida attraverso questo scenario con uno sguardo lucido e coinvolto, fondendo compassione narrativa e denuncia storica. Come già in A Birobidžan io ci sono nato, anche qui Cardi dà voce a chi è stato messo ai margini della Storia — popoli in fuga, identità negate, famiglie smembrate — ma che continua a resistere con la forza della parola e del diritto. Le parole di Ibrahim alla giovane Zaynab lo sintetizzano perfettamente: “Ci sono due tipi di città: quella che possono bombardare, fatta di pietra e cemento, e quella che vive dentro di noi, fatta di ricordi e sapori e profumi. La seconda è indistruttibile”.
L’eco della Nakba del 1948, il dramma di Sabra e Chatila, la questione del diritto al ritorno sancito da risoluzioni ONU mai applicate, non restano sullo sfondo: sono parte integrante della trama narrativa, intrecciate alla vita quotidiana dei protagonisti, impastate nel pane, nascoste tra le pagine di un libro, segnate con le briciole nelle mappe.
Questo romanzo nasce da un’urgenza civile ed etica che si fa ancora più drammatica nella Nota dell’autore, scritta nel novembre 2024, in piena recrudescenza del conflitto tra Israele e Palestina. È lì che Cardi compie un gesto netto: collega la tragedia di ieri alla catastrofe di oggi, costruendo un ponte tra Chatila e Gaza, tra le bombe dell’82 e quelle che oggi cadono su civili inermi.
Il fornaio libanese è dunque sì un romanzo storico, ma anche un atto letterario di coscienza, un grido composto ma fermo, un’opera che non tace. Una storia che interroga, che accompagna, che chiama il lettore a un esercizio di empatia e memoria. E che ricorda, con forza, che “finché l’ingiustizia sarà realtà per qualcuno, non potrà esserci pace per nessuno”.
Scrittura come atto di Coscienza: tra memoria, identità civile
Con Il fornaio libanese, Eugenio Cardi firma un romanzo maturo e toccante. Il libro si distingue per l’intensità narrativa, ma anche per il coraggio con cui si affronta uno dei conflitti più complessi e dolorosi della storia contemporanea. Già in A Birobidžan io ci sono nato. Storia di un ebreo a metà nella prima Israele, Cardi aveva mostrato una rara capacità di dare voce a chi vive ai margini della Storia, a chi resiste non con le armi, ma con la propria identità, con la memoria, con la parola. In Il fornaio libanese, questo sguardo si fa ancora più intimo e lirico: non più l’analisi di un progetto ideologico fallito, ma la celebrazione quotidiana e resistente dell’umano, nel mezzo della distruzione.
Fedele alla sua cifra stilistica, Cardi intreccia storia personale e collettiva, poesia e realtà, memoria e resistenza, creando una narrazione densa ma mai retorica. Lo stile è diretto, viscerale, poetico senza compiacimenti. Ogni parola è necessaria, ogni immagine è scolpita. La narrazione è impreziosita da richiami letterari (da Mahmud Darwish ad Al-Mutanabbi), ma anche dalla struttura corale e cinematografica, in cui ogni personaggio ha una voce chiara, un passato doloroso e una funzione simbolica. Ibrahim, ad esempio, trasforma il suo vecchio libro di poesie in un archivio vivente: “Tra le sue annotazioni di studio della poesia classica araba, aveva iniziato a scrivere i nomi dei suoi studenti morti, trasformando le note accademiche in un registro di perdite”.
In questo senso, il romanzo può essere messo in relazione con le opere di Amin Maalouf, autore che esplora frequentemente i conflitti mediorientali, l’identità e la memoria. Come Maalouf in Le crociate viste dagli arabi, Cardi non si limita a raccontare una guerra, ma si immerge nella vita quotidiana dei suoi protagonisti, che resistono non solo con le armi, ma con la propria cultura, identità e resistenza interiore. Se Maalouf ha raccontato la complessità dei conflitti passati con un tono filosofico e storico, Cardi ci fa vivere l’esperienza nel presente, attraverso lo sguardo e le mani di chi impasta la sopravvivenza ogni giorno. “Il pane era diventato il suo atto di resistenza quotidiano, ogni pagnotta un piccolo atto di sfida”.
L’opera affonda anche le sue radici nella tradizione narrativa araba, evocando la tensione politica ed emotiva di autori come Hanan al-Shaykh, soprattutto nella caratterizzazione delle sorelle Najma e Zaynab. Cardi, come al-Shaykh, dà voce alle donne, inserendole in un contesto di lotta che è insieme politico e intimo.
Fondamentale è l’uso del simbolismo, che innerva ogni pagina: la farina che richiama la cenere delle esplosioni, il pane come preghiera e militanza, i libri come armi silenziose, le chiavi come eredità di un passato rubato. “Finché insegneremo ai nostri figli a fare il pane, Beirut vivrà. Non nelle strade che cambiano, non nei palazzi che crollano, ma qui”, dice Ibrahim, indicando il cuore di Zaynab.
Infine, Cardi costruisce una vera narrazione del trauma, fatta di crepe, sguardi, silenzi. Il dolore non è mai estetizzato, ma incarnato. I suoi personaggi non sopravvivono soltanto: resistono attraverso la bellezza, anche nei giorni più bui. Come Ibrahim, che durante i raid aerei recita versi di Darwish come preghiere: “Ogni esplosione veniva accolta con un verso diverso, come se la poesia potesse costruire un muro di parole contro la violenza”.
Il fornaio libanese si inserisce quindi in un panorama letterario che non ha paura di esplorare la complessità del conflitto, ma lo fa con una scrittura che pone al centro la resistenza silenziosa e quotidiana degli individui. Come Maalouf, come al-Shaykh, Eugenio Cardi riesce a dar vita a una narrazione che non è solo denuncia, ma anche un potente atto di memoria e di speranza.
Architettura narrativa e simbologia del quotidiano: una narrazione viva, consapevole, necessaria
Nel romanzo Il fornaio libanese, Eugenio Cardi conferma pienamente la sua maturità letteraria attraverso una narrazione tanto lucida quanto poetica. L’impianto tecnico dell’opera rivela una struttura narrativa consapevole, profondamente coerente con l’intento etico e civile del testo. Lo stile di Cardi è fortemente lirico e immersivo, capace di fondere l’eleganza del verso con la crudezza della cronaca storica. La sua scrittura si muove tra tensione poetica e urgenza documentaria, toccando con mano la carne della Storia senza mai sacrificare la bellezza dell’immagine.
Fin dalle prime pagine, si percepisce come ogni parola sia necessaria, scolpita, mai retorica: “Nei movimenti delle sue mani c’era ancora l’eleganza del professore che era stato, come se stesse sfogliando un antico manoscritto invece di lavorare la pasta.” In questo semplice gesto quotidiano si concentrano stratificazioni semantiche: la cultura, la memoria, la resistenza.
Il tempo narrativo si sviluppa in passato remoto, con aperture in imperfetto e passato prossimo che rendono tangibile la tensione tra ciò che accade e ciò che è stato interiorizzato. L’asse temporale è lineare, ma impreziosito da frequenti flashback e riflessioni che contestualizzano le scelte e i traumi dei personaggi, in particolare quelli di Zaynab, Najma, Ibrahim, Khalid.
La voce narrante adotta una terza persona onnisciente ma fortemente immersiva: la narrazione, pur mantenendo un punto di vista esterno, si infila nelle pieghe dell’interiorità dei protagonisti. Il risultato è una coralità fluida, che consente di cogliere ogni sfumatura del contesto bellico e umano in cui i personaggi si muovono. Ibrahim e Zaynab emergono come i poli centrali di questa narrazione, incarnando la dimensione intellettuale e quella infantile della resistenza.
Il linguaggio impiegato da Cardi è insieme colto e accessibile, innervato da termini arabeggianti, espressioni idiomatiche, elementi culturali che ancorano la narrazione alla geografia emotiva e storica del Medio Oriente: za’atar, man’oushe, habibti… non sono solo note esotiche, ma tessere di un mosaico autentico e rispettoso. L’autore padroneggia campi semantici ricorrenti: il corpo, la polvere, il pane, la voce, la memoria. Il pane, in particolare, assurge a simbolo centrale, trasformandosi in gesto di resistenza, in preghiera laica: “Ogni bambino che impara qui dentro è una vittoria contro chi vorrebbe vederci solo come numeri in un rapporto militare…”
Dal punto di vista strutturale, il romanzo adotta numerose tecniche narrative raffinate:
Il fornaio libanese si affida a una sapiente architettura narrativa che restituisce la complessità del contesto e la molteplicità dei suoi protagonisti. La narrazione si sviluppa attraverso una focalizzazione variabile, che passa fluidamente da un personaggio all’altro — Ibrahim, Zaynab, Najma, Khalid — permettendo al lettore di cogliere i molteplici punti di vista che attraversano lo stesso evento. Questo sguardo polifonico consente di costruire una mappa emotiva e politica che non è mai univoca, ma ricca di sfumature, tensioni, silenzi.
Allo stesso tempo, la scrittura di Cardi ha una qualità fortemente visiva, quasi cinematografica. Le scene sembrano composte come in un’inquadratura, con attenzione ai dettagli sensoriali, al movimento dei corpi, alla luce e ai suoni. Non è raro, leggendo, sentire il profumo del pane confondersi con quello della polvere da sparo, o vedere le mani infarinate di Ibrahim muoversi come in slow motion nel mezzo della devastazione. La prosa cattura l’attimo e lo espande, rendendo ogni sequenza quasi tangibile: “Il profumo del pane si mescolava con l’odore acre dei bombardamenti, mentre il vecchio professore impastava metodicamente…”
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I dialoghi sono credibili, profondamente umani, spesso intessuti di codici familiari, sguardi condivisi, piccoli non detti che rivelano più di molte parole. È in queste interazioni che emerge la forza del romanzo come racconto di una resistenza umana prima che politica.
I personaggi, infine, sono costruiti con precisione artigianale. Non esistono comparse: ognuno ha un volto, una voce, un vissuto. Ibrahim è il cuore etico e poetico della storia, simbolo della resistenza culturale: “Quando ero professore… Insegnavo ai miei studenti che la letteratura è come il pane: nutre l’anima come il pane nutre il corpo. Ora faccio il contrario: uso il pane per insegnare la letteratura della vita.”
Zaynab, bambina di dieci anni, è l’emblema dell’infanzia spezzata ma ancora viva, ancora capace di trasformare la farina in un’arma contro l’oblio: “È come la polvere dei bombardamenti, ma questa fa crescere cose buone invece di distruggere…”
Il romanzo di Cardi si rivela così una narrazione strutturata e potente, capace di tenere insieme Storia e storie, poesia e sangue, ideologia e umanità. Una letteratura che non consola, ma richiama alla coscienza. Una scrittura che impasta dolore e speranza per trasformarli in memoria viva.
L’Autore
Eugenio Cardi ha una lunga esperienza nella Comunicazione nell’ambito del Non Profit. I suoi romanzi, tutti basati su un percorso di introspezione psicologica o inerenti temi di forte rilevanza sociale, sono stati pubblicati in Italia e all’estero, venendo presentati in numerose occasioni da nomi di eccellenza del panorama nazionale ed internazionale.
Il Fornaio libanese; Eugenio Cardi; Santelli (Ed. 2025) pag.300
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