
I sette vizi capitali: l’Invidia
di Maria Rosa Cottone
Alcuni studi antropologici hanno dimostrato che il “sentimento invidia” è insito nell’uomo; una sana invidia sprona l’individuo a dare il meglio di sé, per migliorare una posizione lavorativa, sociale, culturale: ma desiderare ciò che l’altro possiede spesso ci pone nella costatazione dei nostri limiti, nella consapevolezza che tutto ciò che facciamo sia sbagliato e da questo pensiero nasce la rabbia, l’odio, la cattiveria al punto che si desidera l’annientamento dell’altro, distruggere il nemico socialmente è il desiderio più ambito e lo si attua con la gelosia, con la calunnia, col disprezzo rabbioso dell’altro.

L’invidia, contrariamente al pensare comune, è una relazione tra due persone, l’invidiato e l’invidiante; l’invidiato è un soggetto da ammirare, colui che mette in risalto le sue doti migliori e riesce ad ottenere dei riconoscimenti; al contrario l’invidioso è colui che si sente attaccato nelle proprie peculiarità e di conseguenza costretto a difendersi. Questa relazione tra i due soggetti vede una vittima ed un carnefice, la vittima è sicuramente l’invidioso il quale vive il suo essere inferiore, la sua frustrazione alla stregua di un attacco continuo alla sua vita sociale.
Renè Girard (filosofo, antropologo, critico letterario) concentrando i propri studi sulle grandi opere letterarie, ha sviluppato la teoria del desiderio mimetico, ovvero quel desiderio che nasce dalla natura imitativa dell’uomo, che lo porta, paradossalmente a trarre più soddisfazione più che dall’ottenere l’oggetto desiderato, al fatto che l’altro non possa averlo o gli venga tolto.
Difatti in letteratura l’invidia trova un ampio spazio di approfondimento. Nelle Metamorfosi, Ovidio ci descrive l’invidia come una persona che si ciba di carne di vipera: “la magrezza le assedia le ossa, il suo sguardo è sempre bieco, i denti sono neri e corrosi, ha il petto pieno di livido fiele e la lingua cosparsa di veleno. Non sa che cosa sia il riso, se non quello suscitato dai dolori altrui; ignora il sonno, agitata da ansie che la inducono a vegliare continuamente; assiste con struggente dispiacere agli eventi felici degli uomini; rode gli altri e si rode e questo è il suo supplizio” Ovidio, 1979, p. 85, Lb. II° vv. 775-783.
I sette vizi nelle letteratura
L’invidia e la gelosia, anche se sono sentimenti che scaturiscono dallo stesso stato mentale di frustrazione, sono distinti da una sottile differenza sostanziale: la prima, infatti, è caratterizzata dal desiderio morboso di avere ciò che hanno altri; la seconda invece, è la paura di perdere ciò che si ha.
Shakespeare nell’Otello esprime questa forma dualistica dello stesso sentimento, quello di Iago che trasforma la sua invidia in odio e trama una diabolica situazione contro Desdemona e Cassio; e la gelosia morbosa (altra forma di invidia) di Otello il Moro che distorcendo la realtà compie l’insano gesto.
Rileggendo quest’opera rifletto su ciò che sta accadendo ai nostri giorni, quante giovani donne, mogli-compagne vengono private della vita dai loro mariti-compagni per questo sentimento deprecabile della gelosia-invidia che l’altra possa rifarsi una vita con un altro uomo, l’atavico maschilismo della frase: “O mia o di nessuno” prende campo sulla vita intima della coppia e deborda in tragedia, lasciando i figli senza le madri, i genitori senza le figlie… dolori incancellabili e inspiegabili che distruggono intere famiglie.
Dante colloca gli invidiosi nel secondo girone del purgatorio dove sono coperti da un cilicio ed hanno gli occhi cuciti con filo di ferro: per la legge del contrappasso è la giusta punizione per coloro che in vita hanno guardato con malevolenza il benessere e la felicità altrui, seduti con le spalle verso il monte si reggono a vicenda.

Nella prospettiva cristiana l’invidia è inquadrata in uno dei sette vizi capitali come generante di una passione triste, che nega la carità verso gli altri e produce infelicità; fin dal Genesi 4 nel rapporto malato tra Caino e Abele. Caino è considerato l’uomo forte, il primogenito della famiglia, dotato di intelligenza vivace e costruttiva è colui che per primo offre un sacrificio a Dio, Dio parla con lui eppure Abele suscita la sua gelosia nel fatto che Dio lo ha preferito al fratello. Questo episodio non narra solamente di un fatto cruento, Caino uccide il fratello, ma teologicamente, ci insegna che l’uomo può decidere del suo comportamento, sa distinguere tra il bene ed il male e soprattutto che Dio ha un occhio particolarmente amorevole nei confronti del più debole, Dio non fa differenze sociali ma ha un occhio di riguardo verso i diseredati. Caino ha deluso il Signore perché non è stato capace di dominare la sua invidia verso il fratello e ha commesso il primo vero peccato che segna l’umanità: l’omicidio. Per Dio il peccato non è insito nell’uomo, ma questo ha la possibilità di decidere, la responsabilità e la capacità di produrre il bene per i suoi simili.
Ne Nuovo Testamento il monito di Gesù
Nel N.T. sono molti i richiami, anche veterotestamentari, che esortano l’uomo ad amare il prossimo, a produrre il bene il “non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te” è un monito ben preciso, Gesù ci indica la via da percorrere affinché, finalmente liberi dalle passioni umane, raggiungiamo la vera libertà che solo in Cristo è possibile.
“La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità” 1Cor. 13,4-6
San Paolo nel suo “inno all’amore” (invito a leggere per intero il capitolo 1Cor.13) ci elenca tutto un susseguirsi di comportamenti che ci guidano alla sequela Christi e determinanti per la vita di un cristiano, ci suggerisce il comportamento da tenere anche socialmente per vivere gioiosamente la nostra vita, scevri da accanimenti malvagi nei confronti dei nostri simili e dell’intero creato, che comportano nel nostro io tristezza rabbiosa e distonie psicosomatiche, in fin dei conti vivere male. Nelle virtù c’è il riflesso dell’amore di Dio in noi, con il nostro comportamento noi rispondiamo all’amore che Dio ci ha donato facendosi dono Lui stesso.