
“ Il male di vivere” in Giacomo Leopardi ed Eugenio Montale
Articolo a cura di Lydia Salmeri
Tra l’ 800’ e il 900’ in Europa, si affermano le filosofie dell’ Esistenzialismo che hanno i maggiori esponenti in Kierkegard, Schopenhauer, Leopardi e Nietzsche. Tali pensatori pongono il loro accento sull’ idea della precarietà dell’ individuo, sul senso di vuoto che caratterizza la condizione dell’ uomo moderno nonchè sulla solitudine di fronte alla morte in un mondo inconsistente e privo di senso. Ci si interroga sul significato della vita, sul perchè della sofferenza umana, sul fine stesso dell’ universo in cui tutto sembra in preda al caos.
Alla base del pensiero e dell’ opera di questi autori, vi è una visione radicalmente pessimista, una perdita di certezze verso un mondo e una società su cui domina costantemente il dolore. Nel corso del nostro scritto al di là dei vari esponenti dell’Esistenzialismo, ci concentreremo su due autori in particolare, Giacomo Leopardi ed Eugenio Montale perchè le loro opere sono il riflesso di una visione sconsolata della vita e della consapevolezza del “male di vivere” che affligge l’ uomo contemporaneo in un momento in cui si avverte il venir meno della funzione storica dell’ intellettuale e del poeta. In alcuni passi dello “ Zibaldone” di Leopardi, affiora la sua visione negativa della realtà. L’ idea che tutto è male e tutto è destinato al dolore, in un passo dell’ opera, viene rappresentata attraverso la metafora di un giardino primaverile considerato non come luogo ameno colmo di bellezze naturali ma come luogo di sofferenza a cui sono destinati tutti gli esseri viventi, animali e piante che vi si trovano:… “ Non gli uomini solamente, ma il genere umano fu e sarà sempre infelice di necessità. Non il genere umano solamente, ma tutti gli animali. Non gli animali soltanto ma tutti gli altri esseri al loro modo. Non gl’ individui, ma la specie, i generi, i regni, i globi, i sistemi, i mondi….”.

La coscienza del male di vivere si trova anche in alcune de le Operette morali del poeta come nel “Dialogo di Plotino e Porfirio” in cui Leopardi immagina che Plotino, un grande filosofo dell’ antica Grecia, dissuada il discepolo Porfirio dall’ intenzione di uccidersi dopo aver acquisito l’ idea della vanità e inutilità della vita. Plotino è d’ accordo con le disperate valutazioni fatte da Porfirio, tuttavia lo esorta a vivere per quel sentimento di solidarietà che ci unisce agli altri uomini, nostri compagni di pena. Il suicidio appare infatti al poeta, nonostante il suo pessimismo radicale, come un gesto disumano che va al di là della nostra dignità umana davanti al destino assurdo che ci travolge.

Il tema del dolore che costantemente attraversa la vita dell’ uomo ritorna nel Canto leopardiano de “ La sera del dì di festa” in cui è presente il motivo dell’ amore non corrisposto per una cugina. Tale situazione porta il poeta ad una più ampia riflessione etico-filosofica sulla sofferenza che non viene mai meno. In una notte mite e serena, il poeta contempla il paesaggio lunare notturno, le luci che filtrano dalle case e le montagne in lontananza. Egli immagina la donna di cui si è invaghito tranquillamente addormentata nelle sue stanze, del tutto ignara del dolore che gli ha causato. Egli invece ha perduto ogni speranza e riconosce nel cielo stellato la manifestazione della natura onnipossente che lo ha destinato all’ infelicità. Tale stato di sofferenza è acuito dall’ idea dello scorrere inesorabile del tempo che porta via tutte le cose, perfino la memoria della grandezza dei popoli e della gloria che l’ha accompagnata. Il dolore e la disperazione personale del poeta si dissolvono tuttavia alla fine del canto, e si annullano nell’ immensità e infinità del tempo.
La tristezza e il patimento come condizione intrinseca alla vita dell’ uomo, è presente anche nel componimento “ Ultimo canto di Saffo” che segna il passaggio dal pessimismo storico a quello cosmico. In questa poesia la natura per il poeta cessa non solo di essere benevola nei confronti dell’ uomo ma viene anche vista come un sistema retto da regole meccaniche, ovvero è una natura che non ha alcuna pietà per gli esseri viventi ai quali infligge sofferenze e tormenti senza fine. Saffo, la poetessa greca che la leggenda rivela come brutta e deforme, si suicida a causa dell’ amore non corrisposto per il marinaio Faone. Ne consegue in Leopardi la convinzione che l’ infelicità non deriva dalla civiltà e dalla storia ma è propria della condizione umana. Saffo cerca invano di trovare una spiegazione per il triste destino che le è capitato ma giunge alla constatazione che il dolore è parte integrante di tutti gli uomini. Il suicidio diventa pertanto l’unico mezzo per protestare contro la disarmonia che caratterizza i rapporti tra gli esseri viventi e la natura stessa, di cui tutta l’umanità è vittima.

Il male di vivere di Leopardi ritorna con insistenza in Eugenio Montale nei suoi Ossi di seppia ( ricorre quest’ anno il centenario della loro composizione). L’ immagine desolante degli ossi di seppi, resti di animali marini che giacciono abbandonati sulla spiaggia, rappresenta la condizione a cui approda l’ uomo quando scopre il vuoto e la vanità che si nascondono dietro la vita quotidiana. La constatazione di questa dimensione esistenziale non porta tuttavia il poeta ad atteggiamenti consolatori quanto piuttosto all’ accettazione stessa del “male di vivere” che egli tenta di superare attraverso l’impegno etico. In un mondo che appare privo di significato e di senso, neppure la poesia è in grado di offrire certezze nè il poeta è più “vate” come D’ Annunzio. Il componimento “ Non chiederci la parola” posto all’ inizio della sezione Ossi di seppia può essere già considerato come un’ esplicita dichiarazione di poetica in senso negativo. La poesia da sempre considerata suprema custode di valori universali, non ha più nulla di valido da comunicare. L’unica funzione che essa può avere è una funzione “ negativa”.

Il poeta non ha più messaggi validi da trasmettere al mondo nè può indicare punti di riferimento precisi e definiti. Alle certezze proclamate dai poeti-vati di fine ottocento “ ottimisti e superficiali”, Montale contrappone qualche “storta sillaba e secca come un ramo.” I poeti dunque possono solo dire ciò che non siamo, ciò che non vogliamo. La visione negativa dell’ uomo e dell’ esistenza umana si ritrova nella poesia “ Meriggiare pallido e assorto” che è emblematica dell’ intera raccolta alla quale appartiene; in essa attraverso la rappresentazione del paesaggio ligure colto nella luce accecante del mezzogiorno e nella sua aridità, è presente il tema esistenziale della disarmonia e del vano desiderio di comunione con la natura che ritroviamo anche in altri testi. In questo componimento il poeta descrive un personaggio ( probabilmente se stesso) che trascorre un caldo pomeriggio estivo all’ aperto, vicino ad un muro, ascoltando i rumori e i suoni della natura ( Il canto dei merli, lo strisciare delle serpi) ma anche il mare e il canto delle cicale, tutti elementi dell’ ambiente mediterraneo. Tutto rimanda però ad una natura sofferente che a stento riesce a sopravvivere nell’ acccecante calura del pomeriggio. Nell’ ultima strofa è evidente il valore metaforico attraverso l’ analogia tra la vita umana e la “muraglia”:
“ E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com’è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia “
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia”
. Nell’ altrettanto famosa poesia “ Spesso il male di vivere ho incontrato”, il poeta ligure esprime la sofferenza che è all’ interno degli elementi naturali attraverso delle immagini molto concentrate : il ruscello impedito nel suo corso, che gorgoglia come per esprimere la sua angoscia; la foglia bruciata dal sole che si ripiega su se stessa; il cavallo che stramazza al suolo. L’ unico bene possibile di fronte al dolore e al vuoto dell’ esistenza umana è l’indifferenza e il distacco con cui soltanto è possibile liberarsi dal male di vivere. Il testo rivela un profondo pessimismo che avvicina molto la poesia di Montale a quella di Leopardi.
Nella poesia “Casa sul mare” tratta dall’ ultima sezione di Ossi di seppia, ritorna l’ idea della vanità e dell’ inconsistenza a cui tutte le cose sono destinate. Il testo esprime l’idea ricorrente del viaggio che qui può essere letto in funzione metaforica, come viaggio della vita. La donna rappresentata nella poesia chiede al poeta se tutto sia destinato all’ oblìo, se il destino dell’ uomo sia nel continuo infrangersi delle onde che avanzano e si ritirano senza lasciare traccia. Il poeta vorrebbe indicare alla donna la strada che conduce al “ varco”, la via di fuga dal limite umano. Egli tuttavia può solo donare speranza alla compagna, ma non a se stesso, vinto com è dal male di vivere.