08/07/2025
 Il marchio di Medusa: Salvatore Savasta va oltre il thriller
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 Il marchio di Medusa: Salvatore Savasta va oltre il thriller

Mag 22, 2025

In un paese affacciato sul mare siciliano, tra viuzze assolate e silenzi carichi di giudizi, vive Rosalia. Un tempo giovane e ribelle, Rosalia ha scelto di non essere una moglie, ma una donna libera. Ha pagato il prezzo di quella libertà con il pettegolezzo, l’isolamento, e una vecchiaia fatta di ricordi e rughe, ma anche di orgoglio. È stata usata, forse amata e lasciata. Ma soprattutto, è sopravvissuta. Ora, sola con la sua casa e i suoi fantasmi, salta sul letto come una bambina e ride. Ride forte e per la prima volta dopo settant’anni, si sente viva.

Ma non è sola, Rosalia. Anche se non si conoscono, anche se le loro vite scorrono su binari diversi, c’è un filo invisibile che la lega ad altre due donne. Donne che, come lei, hanno dovuto fare i conti con ciò che significa essere fragili e forti allo stesso tempo.

 Rita, che si sveglia ogni mattina con il cuore in gola e il sudore freddo sulla fronte. Non sono sogni qualunque quelli che la tormentano: sono visioni così precise da sembrare vere. E a volte lo sono. In uno di quei sogni ha visto un uomo morire, ha visto il sangue, ha sentito il freddo dell’acciaio. Quando scopre che quell’uomo è stato davvero ucciso, nello stesso modo che aveva “sognato”, tutto cambia. Da quel momento comincia a chiedersi se i suoi incubi non siano in realtà messaggi e avvertimenti. O forse una condanna. Inizia a cercare risposte, anche quando nessuno sembra disposto ad ascoltarla. O quasi nessuno.

E poi c’è Eleonora (Nora) una psicologa che sa cosa significa portarsi dentro delle crepe. La sua vita, all’apparenza ordinata, è piena di stanze chiuse a chiave. Conosce Rosalia, ma non solo. Conosce Pietro, un uomo potente e affascinante che molti ammirano e pochi capiscono e conoscono davvero. Nora sa cosa è il buio, quello che si nasconde dietro i sorrisi, le case perfette, le parole mai dette. È Nora che tiene insieme i fili della memoria, del presente e di tutto ciò che non si riesce a raccontare a voce alta.

Le loro storie si incrociano senza che loro se ne rendano conto. Passano l’una accanto all’altra come onde che si sfiorano, si confondono, si chiamano. E intorno a loro ruotano figure ambigue, uomini brillanti o pericolosi: Andrea, il mentalista che cerca verità nei dettagli, Luca, il giovane genio che crede solo ai numeri, e Italo, il commissario disilluso che sa riconoscere la paura anche quando si traveste da lucidità.

Non ultima la Libreria delle Onde della solitaria Chiara,  simbolo della cultura e del rifugio nelle parole, un luogo quasi sospeso, dove ogni libro sussurra qualcosa e ogni scaffale è un angolo di riparo. È lì che le parole prendono vita, ed è lì che, forse, si potrà ricominciare a credere.

Su  tutti sembra aleggiare l’ambiguità di Pietro De Santis, politico locale e imprenditore dalle molte ombre.

Salvatore Savasta in Il marchio di Medusa con le sue protagoniste mescola le visioni  di un passato che non passa e di verità che fanno paura. Un romanzo che dosa thriller e poesia, sogno e memoria, dove ogni personaggio porta addosso un marchio  e ciascuno, a suo modo, cerca di trasformarlo in salvezza.

  Le donne, la loro colpa e l’Epochè narrativa

Chi conosce Salvatore Savasta per la sua brillante ironia sui social, potrebbe rimanere sorpreso da questo romanzo. Perché ne Il marchio di Medusa, l’autore abbandona il suo tradizionale sense of humor e affida alle sue creature letterarie il compito di parlare senza filtri. Lì dove il web suggerisce, la narrativa svela. Ed è una rivelazione spietata, tenera, lucida. Un’autopsia delle coscienze.

Savasta si traveste nei suoi personaggi. Attraverso Rosalia, donna vissuta fuori dalle regole, fuori dai salotti buoni, fuori dalla “normalità” che il perbenismo impone,  compie una delle sue analisi più profonde: quella sull’invisibilità sociale di chi, come lei, ha fatto del proprio corpo una possibilità: una donna di facili costumi, un corpo come terra di nessuno, senza anima.

Ed è proprio qui che Savasta si ferma, scava, scompone.

Il marchio di Medusa non è un semplice thriller psicologico. È un viaggio in quei territori dove colpa e dolore si sfiorano, dove vittima e carnefice si somigliano e dove anche il colpevole lascia il lettore con un senso di Epochè: quella sospensione del giudizio che è il punto più alto della riflessione etica e letteraria. Qui il lettore è chiamato a chiedersi quanto sia più facile  Il non guardare per non vedere”, soprattutto  se un giorno si sarà chiamati a  portare il peso di dare una condanna e magari se si   è proprio la causa della condanna stessa.

Nel cuore profondo del romanzo, Il marchio di Medusa compie un gesto che ha radici antiche ma di una efficacia  attualissima: quello dell’Epochè, appunto. Non si tratta solo di una sospensione del giudizio morale, ma di un invito a mettere tra parentesi tutto ciò che sappiamo, o crediamo di sapere, sul bene, sul male, sulla colpa e sulla redenzione. Proprio come nella tradizione dello scetticismo antico o nella Fenomenologia di Husserl, questa sospensione ci obbliga a guardare i personaggi nella loro interezza, liberi da preconcetti, percependoli per quello che sono, e non per ciò che rappresentano.

Rosalia, come tutti gli altri protagonisti del romanzo, non chiede di essere giudicata. Chiede di essere vista. È qui che Savasta compie la sua scelta più coraggiosa: sottrae il lettore alla tentazione del verdetto e lo immerge in un’esperienza narrativa che è prima di tutto esercizio di comprensione profonda del soggetto , e solo dopo, eventualmente, di valutazione. È qui che  il romanzo trova la sua verità più luminosa: nel non dire al lettore cosa pensare, ma nel costringerlo a pensare davvero.

Dunque non si tratta solo di una tecnica narrativa, ma di un vero e proprio atto etico. Il lettore è costantemente invitato a sospendere il proprio giudizio, a rinunciare alla rassicurazione della colpa netta, del bene riconoscibile, del male circoscritto. Tutto il romanzo si muove su un terreno di ambiguità consapevole, dove i confini tra vittime e carnefici, innocenza e complicità, luce e ombra si sfumano volutamente. E quando sembrerebbe il momento di condannare, ecco che la narrazione si fa più umana, più obliqua, più vera.

Ma ciò non è da confondersi con  un’assenza di posizione, tutt’altro: è un invito all’ascolto, alla  cessazione del pregiudizio, alla possibilità che la verità non stia nei ruoli imposti, ma nei vuoti, nei silenzi, nelle contraddizioni. È il messaggio più incisivo del romanzo, prima ancora di raccontare una storia di delitti e ossessioni, Il marchio di Medusa ci chiede di guardare. Non per capire “chi ha sbagliato”, ma per comprendere l’umano in tutte le sue imperfezioni, anche quelle che ci fanno paura.

Una scrittura  che riesce ad essere denuncia sociale. Il libro raccoglie la voce di chi non ha voce: Eleonora, Rita, Chiara, donne diversissime, ma ugualmente esiliate dalla normalità. Rita, perseguitata da sogni troppo reali per essere ignorati, e Eleonora, imprigionata in un amore apparentemente perfetto ma profondamente ambiguo. È la storia di Chiara, che si rifugia tra i libri per sopravvivere in un mondo che non lascia spazio a chi ha bisogno di silenzio. Donne diverse, accomunate da un’esclusione sottile ma costante, da un desiderio di riscatto che passa spesso dal corpo, dalla memoria, dal non detto.

Rita, Andrea, Chiara, Giovanna, Salvatore, Eleonora, Italo, Anna, Rosalia, Mario, Pietro, Paolo, Gaetano, Luca… tutti, in un modo o nell’altro, erano stati relegati ai margini della società. Alcuni avevano reagito con violenza o dolore, altri coltivando le proprie più intime passioni, ma tutti erano stati segnati da un destino comune

Savasta e la forza del non detto

Sul piano tecnico il romanzo si muove su tre piani temporali intrecciati con maestria, Savasta  dissemina indizi, confonde con precisione. L’assassino compare più spesso di quanto si pensi, e qui sta l’arte di chi sa nascondere mettendo in mostra. Il gioco di specchi è costruito con precisione chirurgica, e l’autore  non tradisce mai la fiducia del lettore: ogni dettaglio torna, ogni svolta è annunciata eppure inaspettata. “Se vuoi nascondere qualcosa, mettila bene in evidenza”: ed è proprio lì che l’autore colpisce. I diversi livelli temporali, gestiti con grande padronanza dell’analessi,  si alternano senza mai confondere, ma anzi creando un ritmo incalzante che accompagna il lettore in una tensione crescente.

Savasta utilizza con grande padronanza la tecnica del flashback, dosandola con intelligenza per scandire la narrazione  e dare profondità psicologica ai personaggi. Questa struttura, insieme a un uso sapiente del cliffhanger, contribuisce a rendere l’intero impianto narrativo straordinariamente cinematografico: la tensione cresce in modo costante, con scene che si chiudono in sospensione e costringono il lettore a  cercare la verità nascosta tra le righe. È un ritmo serrato, quasi da serie tv di alta qualità, in cui ogni dettaglio torna, ogni frammento ha un peso, e ogni silenzio diventa rivelazione.

Solo Rosalia si racconta in prima persona, attraverso una serie di lettere indirizzate a un uomo sconosciuto. Questo espediente narrativo consente all’autore di far entrare il lettore direttamente nel flusso di coscienza di Rosalia, cioè nel suo flusso continuo di pensieri, emozioni e ricordi, come se fossero espressi senza filtri o pause. In questo modo, Rosalia acquista voce piena e una complessità psicologica che la rende più reale e viva. Attraverso la  sua figura Savasta compone un affresco doloroso ma necessario della condizione femminile in un’Italia che, a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, imponeva un’unica alternativa possibile: o ci si sposava, oppure si finiva ai margini. Il matrimonio, più che una scelta affettiva, era un destino sociale: garantiva un tetto, uno status, una sopravvivenza. E chi sceglieva di sottrarsi a questa logica pagava il prezzo più alto: la solitudine, lo stigma, l’esilio interiore.

Rosalia, infatti, non è solo una prostituta. È una donna che ha scelto di vivere da sé, di non dipendere, di trasformare il proprio corpo in risorsa e linguaggio. E la società, ancora oggi, fatica a perdonare chi trasforma la libertà in gesto radicale. Savasta ci invita a questa vita spesa ai margini, senza mai scadere nel pietismo: ci viene chiesto di restare in ascolto, di non condannare, di vedere l’umano al di là del ruolo assegnato.

In questo, l’autore dimostra una sapienza narrativa che lo avvicina a Camilleri, in particolare a  La pazienza del ragno. Anche lì, il commissario Montalbano si confronta con la morte di una donna ai margini ,una prostituta , e il romanzo si trasforma presto in una meditazione sull’emarginazione, la fragilità e la violenza nascosta nelle relazioni. Come Camilleri, anche Savasta rinuncia al sensazionalismo e restituisce alla vittima una storia, una voce, una complessità.

Ma i riferimenti potrebbero estendersi anche oltre. Si pensi a Accabadora di Michela Murgia, dove la protagonista anziana, silenziosa e piena di ombre, rappresenta un’altra forma di alterità femminile, anch’essa al limite tra giustizia e tabù. Oppure a L’ Arminuta di Donatella Di Pietrantonio, in cui l’identità femminile si costruisce in assenza, in strappi, in relazioni negate.

A fare da sfondo è il paesaggio siciliano, che si estende dal mare alle campagne, fino ai piccoli borghi di pescatori dove Savasta fissa lo sguardo sempre verso il sole.

Il sole siciliano, vibrante e visibile, che nella scrittura dell’autore però non scalda: illumina brutalmente. Le sue pagine sono sature di luce e di oscurità, eppure non c’è mai compiacimento. La sua è un’operazione etica, oltre che letteraria. Come se volesse dirci che solo chi è stato nel buio sa davvero raccontare la luce. E che anche l’orrore ha bisogno di essere compreso, non per essere giustificato, ma per essere sottratto alla banalità.

Un romanzo da leggere tutto d’un fiato, ma anche da rileggere con lentezza. Perché Il marchio di Medusa è, in fondo, il marchio che tutti portiamo: quello delle nostre zone d’ombra, delle scelte che non abbiamo fatto, delle vite che avremmo potuto vivere, eche la letteratura, ogni tanto, ci restituisce con straordinaria verità.

Il Marchio di Medusa; Salvatore Savasta; Giraldi Editori (2025) pag.275

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