
La Gola
Articolo a cura di Maria Rosa Cottone
La gola: un vizio capitale, l’unico che prende il nome da un organo importantissimo del corpo umano, mezzo naturale per la vita; attraverso la gola ci nutriamo, respiriamo, emettiamo suoni, siamo protetti da infezioni; come può un organo così insostituibile divenire peccato capitale?

Fin dalla nascita l’uomo instaura attraverso il cibo quelle che sono le relazioni con l’altro, un lattante trova nel seno materno non soltanto un nutrimento ma anche un rapporto di affettività che lo soddisfa, nel corso degli anni svilupperà, attraverso il cibo, degli aspetti emotivi e relazionali per cui il cibo non rimane solo necessario ma assume un’importante valenza simbolica.
La gola diventa peccato quando l’uomo sostituisce il cibo ad una mancanza dell’anima, quando sente il bisogno di appagare istantaneamente una carenza psicologica con qualcosa di materiale. Il peccato è tale non soltanto perché offende Dio, ma soprattutto perché mette a repentaglio il dono della vita che Dio ci ha fatto; la golosità, l’ingordigia il desiderio sfrenato di ingurgitare cibo, mettono a repentaglio la nostra salute fisica e mentale, privandoci del discernimento e della libertà di agire sobriamente.

Nella teologia cristiana il peccato di gola si contrappone alla virtù della modestia e della povertà; per San Tommaso “ l’essere umano quando “eccede la giusta misura nel dedicarsi ai piaceri del cibo e delle bevande” fa peccato.” La golosità conduce alla sfrenatezza che si contrappone alla modestia e l’ingordigia è uno schiaffo alla povertà.
Nella società odierna il cibo è diventato un fenomeno di costume, chi di noi facendo zapping non si imbatte in programmi che, ossessivamente, ci mostrano ricette ricercate, cibi succulenti, pietanze “impiattate” con raffinatezza per la gioia del palato e della vista? anche attraverso uno schermo freddo e senza anima ci assale un senso di godimento e non vediamo l’ora di copiare quelle ricette. Questo fenomeno, non è nuovissimo in televisione ma nasce già dalla fine degli anni cinquanta, con Mario Soldati, conduttore, scrittore, giornalista e gastronomo che, ideò il primo reportage enogastronomico della RAI intitolato: “ Viaggio nella valle del Po’ ”. Da allora questo tipo di programmi si sono moltiplicati a dismisura, fino al nascere dei canali specializzati. Che dire poi dei social che ci mostrano donne bellissime intente a strafogarsi di cibi untuosi, fare a gara nel trangugiare enormi vassoi di vettovaglie di ogni tipo, di uomini e donne enormi che si rimpinzano trasognanti di piacere. Tutto ciò è degradante e dannoso per chi lo fa ma anche per chi guarda, perché veicola un messaggio mendace: il cibo è la panacea di tutti i mali.
Anche nell’arte il peccato di gola veniva raffigurato con tavole riccamente imbandite e commensali con corpi deformati, interessati solo a godere dei piaceri della carne. Nella cinematografia si tende a usare il cibo quale mezzo di seduzione, come ne “La grande abbuffata” che non ha un lieto fine.

Petronio nel suo Satyricon narra la “Cena di Trimalcione” dove si racconta di una cena spettacolo nella casa; questo episodio è uno spaccato di vita dei ricchi romani, i loro banchetti venivano consumati sui triclini posti attorno a dei tavoli riccamente imbanditi con vassoi che sembravano opere d’arte; il cibo abbondante e il vino a fiumi annebbiavano la mente degli astanti provocando comportamenti moralmente discutibili. Trimalcione non è esente da questo stato di aberrazione mentale, tanto che per chiudere la festa organizza il suo funerale tra gli schiamazzi dei suoi ospiti.
Nella Sacra Scrittura il cibo non viene condannato, anzi se guardiamo all’era messianica che viene descritta come “un lauto banchetto” comprendiamo come il cibo sia condivisione, che diventa comunione nel sacrificio eucaristico, nelle parole di Gesù “prendete e mangiate” si rivela tutto il Suo donarsi all’uomo, il cibo eucaristico è nutrimento dell’anima, ci fortifica nella fede e ci rende simili a Lui. La moltiplicazione dei pani e dei pesci, raccontata da i quattro evangelisti, comunica la forza della condivisione fra gli uomini, condivisione e comunione sono intrinseche nel messaggio messianico.
Ma la Parola di Dio ci avverte che il cibo può sollecitare il male, fin dalla genesi dove Adamo ed Eva peccarono tentati dal frutto proibito, il popolo ebraico nel deserto perse la visione di Dio perché non si accontentò della manna, Esaù rinunciò al diritto di primogenitura per un piatto di lenticchie, Gesù fu tentato nel deserto dopo 40 giorni di digiuno, dal demonio, proprio col cibo.

Anche noi subiamo le tentazioni e nel peccato di gola se ne riassumono parecchie, l’uomo è tentato nel suo corpo col piacere del gusto; è tentato nello spirito con l’illusione di bastare a sé stesso; è tentato nell’anima nell’errata ricerca dell’effimero anziché della sua vera identità che è immagine di Cristo risorto. San Paolo ci dice “ la perdizione è la loro fine perché hanno come Dio il loro ventre” (Fil. 3-19) quanti giovani oggi abbagliati da una vita senza regole, vissuta in dissolutezza, non tornano più nello loro case vittime della strada, quanti uomini e donne consumati dall’uso smodato di sostanze nocive vivono ai margini; il peccato di gola non è semplicemente mangiare troppo e male ma fare uso e abuso di fumo, di alcol, di droghe, di tutto ciò che altera la tua capacità relazionale.
Il famoso medico-filosofo persiano dell’XI sec. Avicenna che compose diverse opere tra le quali “il canone della medicina” e “il libro delle guarigioni” disse “la medicina guarì meno persone di quante ne uccise la crapula”.
Nel brano evangelico della Samaritana, Gesù rivela alla donna che l’ acqua alla quale lei attinge non la sazierà , la sua sete sarà colmata dalla ricerca di una fonte di “acqua viva” che la disseterà per l’eternità e quella fonte è lì davanti a lei. “Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete, ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà per lui una sorgente che zampilla per la vita eterna”. (Gv. 4,13-15 )
Nel linguaggio biblico ebraico la parola nefesh [מֵ֖ת נֶ֥פֶשׁ] ha il significato di gola ma anche di anima, in senso lato di essere vivente, e nel peccato di gola c’è quel senso di appagamento materiale che acquieta falsamente la vera ricerca che ontologicamente il nostro spirito anela: la fame di Dio. Quante volte presi dall’angoscia del vivere quotidiano ci rifuggiamo nel cibo, un dolce o una fetta di pizza ci fanno apparire più abbordabili i problemi, crediamo di alienarci da situazioni che ci fanno soffrire, forse anche consapevoli che quel momentaneo godimento del palato non sia la soluzione vera del problema.

L’incapacità di offrirsi agli altri, l’egoismo nel condividere, il mutuo soccorso con chi ci sta vicino, fanno inaridire i nostri sensi e il peccato di gola sintetizza queste mancanze.
Nella bibbia il cibo è godimento perché dono dell’alterità divina, è segno della Sua relazione d’amore instaurata con l’uomo, Dio ci ha donato tutto ciò di cui abbiamo bisogno affinché questa relazione con Lui diventi relazione tra noi, il “banchetto sacro” è rappresentazione di ciò che Dio vuole per noi: essere in armonia nella condivisione; ed è in questa condivisione che si coniugano le due realtà dell’uomo quella spirituale e quella materiale.
Nel peccato di gola il rapporto col cibo viene deformato, da godimento a malessere.
“Siate sobri, vegliate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro cercando chi divorare”. (1Pietro 5,8).