
La gabbia strappata: specchi infranti accanto a cieli stellati
RAGUSA – C’è un’energia inquieta che percorre La gabbia strappata, cortometraggio intenso e necessario, scritto da Daniele Cataudella con la regia e la direzione delle professoresse Simonetta Cuzzocrea, Silvia Criscione e Vania Orecchio. Nato da un progetto dell’Istituto di Istruzione Superiore Vico Umberto I – Rosario Gagliardi di Ragusa, con il coinvolgimento dell’associazione “Noi sull’Aquilone”, La gabbia strappata è più di un racconto audiovisivo: è un atto di coscienza, un grido silenzioso rivolto a un pubblico trasversale , giovani, adulti, educatori ,che si ritrovano a fare i conti con il mondo digitale e le sue ombre.
Il cortometraggio è stato proiettato per la prima volta il 22 gennaio 2025 e ha coinvolto, nella scrittura e nella messa in scena, studenti e docenti dell’istituto ragusano: le studentesse Enrica Chessari, Federica Occhipinti, Ines Distefano, Sofia La Cognata e lo studente Simone Occhipinti, insieme alle docenti Simonetta Cuzzocrea, Silvia Criscione e Vania Orecchio, hanno lavorato fianco a fianco per portare sullo schermo un progetto educativo che fosse anche un’esperienza umana e creativa.

Abbiamo incontrato direttamente Daniele Cataudella, l’ideatore del racconto da cui è nata l’ispirazione per il cortometraggio. In una conversazione sincera, l’autore ha condiviso con noi la sua visione trasfusa nel racconto da cui è stata tratta ispirazione per il cortometraggio. Cataudella ci racconta che la figura centrale della storia, Ada, è il fulcro di tutto il narrato: «Colei che fermenta in modo lapalissiano il mio pensiero è la protagonista: Ada», afferma, aggiungendo che «un nome breve, netto, che nel cortometraggio è diventato Ines per esigenze registiche, ma che in fondo resta lo stesso». Ines, come dice l’autore, rappresenta la forza motrice della narrazione, una figura determinata, caparbia, ma anche pericolosa. Una giovane che, spinta dall’infatuazione per un ragazzo, si lancia in un gioco rischioso, in grado di distruggere lei stessa e chi le sta attorno.
La gabbia strappata affronta con coraggio il tema delle challenge online e del cyberbullismo. Ma va oltre la semplice denuncia: tocca corde più profonde e universali, mettendo in scena il vuoto, la vertigine e la fame d’identità che attraversano l’adolescenza. Ada/Ines diventa il simbolo di una generazione che si perde nelle dinamiche digitali, cercando risposte che non possono essere trovate in uno schermo. La sua crescita, come dice Cataudella, non è solo psicologica, ma anche morale: «Ada sperimenta un annullamento del proprio essere. Abbandona la parte buona, umana, e lo fa per ottenere attenzione. Vuole Ascanio, che è anche l’organizzatore delle sfide. Ma non è amore: è bisogno di specchiarsi nello sguardo di un altro. E così trascina con sé anche le amiche. Tutti vengono risucchiati», aggiunge l’autore, sottolineando come il personaggio di Ines/Ada vada oltre una semplice infatuazione adolescenziale.
Il cortometraggio ha la struttura e la potenza emotiva di una tragedia, con un finale che non offre né salvezza né redenzione. Piuttosto, ci mostra una presa di coscienza disturbante. Daniele Cataudella spiega che, nonostante il percorso di Ada possa sembrare un annullamento di sé, alla fine il personaggio si rende conto di aver risvegliato una malvagità che era già presente in lei: «Nel finale si capisce che lei non ha mai annullato sé stessa. Ha semplicemente risvegliato una malvagità che era già lì, latente», afferma l’autore. «E la cosa più grave è che sembra non provare rimorso.»
In questa rappresentazione di Ada, Cataudella introduce il concetto di “banalità del male” elaborato da Hannah Arendt: la protagonista, nel suo agire, non si rende conto del male che sta infliggendo. «Ada rappresenta la contemporaneità», afferma l’autore, «è la solitudine travestita da connessione, il calcolo che rovina i legami, il fallimento dell’educazione che valuta i giovani in base alla maschera che mostrano alla società». La sua figura diventa così un riflesso di un’epoca in cui l’individuo, soprattutto il giovane, cerca di esistere e di farsi vedere, ma lo fa in modo distorto, giocando con le regole pericolose del mondo online.
Il film non impone risposte facili, ma invita a riflettere, aprendo domande che si ripercuotono nella vita di ogni spettatore. Cataudella ci avverte che questo percorso di disillusione è strettamente legato a un vuoto esistenziale che spesso permea la vita dei giovani: «È molto più allarmante vedere giovani che compiono atti malevoli e cercano in ciò il loro scopo di vivere. Da questo si intuisce un vuoto esistenziale che nessun valore civile sembra in grado di colmare», aggiunge l’autore. Non è un allarme facile da ignorare. La ricerca di uno scopo attraverso il dolore degli altri e la continua solitudine comunicativa sono i temi chiave del cortometraggio.
Eppure, nonostante l’oscurità del racconto, emerge un messaggio di speranza. La parola finale di Daniele Cataudella ci offre una riflessione profonda sulla responsabilità dell’educazione e sul modo in cui dobbiamo guardare i giovani. «Se l’educazione non deve fallire, dobbiamo imparare a guardare questi ragazzi — e noi stessi — non come specchi che riflettono le nostre aspettative, ma come cieli stellati», conclude l’autore, regalando una visione utopica e positiva che, pur nella difficoltà del presente, invita a guardare al futuro con speranza.