
I sette vizi capitali: l’Ira
di Maria Rosa Cottone
Esaminiamo in dettaglio come la superbia sia, in effetti, la genesi di ogni altro peccato.
«Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio» Mt. 5,21/22.
Quanti di noi non hanno provato momenti di tensione, di sdegno o semplicemente di collera verso qualcosa o qualcuno nel momento in cui, proiettati a realizzare un nostro progetto, sogno accarezzato a lungo, ci troviamo di fronte qualcuno che lo infrange? che si frappone in maniera, a nostro parere, inappropriata ostacolandoci; la nostra reazione è istintivamente un senso di sconfitta, ma il nostro amor proprio accompagnato da un senso di rivalsa, ci porta a nutrire un odio irrefrenabile.
In filosofia, l’Ira viene descritta principalmente come passione, poiché è generata dall’aggressività, dalle abitudini comportamentali di cui «siamo padroni solo all’inizio, poiché ci sfuggono gli accrescimenti di essa, volta per volta così come succede nelle malattie» (Aristotele, Etica Nicomachea).
Nella letteratura Greca, in particolare nei poemi epici, l’Ira ci viene presentata come una passione primordiale, che insita nell’uomo sfugge al suo controllo.
Omero presenta il Pelìde Achille nella sua Ira dalla doppia natura, un’Ira rivolta al dolore personale per l’ingiustizia subita, che sfocia in un moto di vendetta guidandolo ad un gesto eroico.
Seneca definisce l’Ira la più triste e frenetica di tutte le passioni, “le altre passioni infatti hanno in loro qualche cosa di tranquillo e placido in questa inumano idi armi, di sangue, di supplizi[1] […] Essa è paragonabile ad una breve follia[2]. Tra tutte le passioni è la più difficile da occultare: “le altre passioni appaiono, l’ira emerge.”[3] I suoi effetti sono descritti in termini drammatici: “nessun flagello è stato più nocivo al genere umano. Tu vedrai i massacri, i veleni, le accuse reciproche, le rovine della città e gli eccidi di interi popoli […], gli incendi non arginati dalle mura, ma regioni immense illuminate dalle fiamme”[4]. (Seneca, De ira)
Nella cristianità, l’Ira, intesa come un sentimento che declina alla vendetta, non come una passione che aiuta a superare gli ostacoli è da evitare, poiché nella teologia morale è annoverata tra i sette vizi capitali.

Nella Bibbia troviamo ben 518 volte la definizione “L’Ira di Dio” sia sull’Antico che sul Nuovo testamento; come possiamo giustificare questa reazione di Dio?. Nell’ A.T. l’ira di Dio è una reazione divina al peccato di disobbedienza dell’uomo, spesso rivolta all’idolatria. “Ma essi tentarono e provocarono a sdegno il Dio altissimo e non osservarono i suoi statuti” (Salmo 78,56). “Lo provocarono ad ira coi loro alti luoghi e lo mossero a gelosia con le loro sculture. Dio udì e si adirò…(Salmo 78,58-59). Ricordiamo la reazione che ebbe Mosè quando, sceso dal Sinai trovò il suo popolo che aveva costruito un vitello d’oro e rivolgevano ad esso riti di adorazione. La sua ira fu tremenda, ruppe le tavole della Legge, bruciò il vitello nel fuoco e lo ridusse in cenere che gettò nell’acqua costringendo gli Israeliti a berne.
Dio ha modellato per noi un piano soteriologico perfetto, ci ha donato la Sua fiducia e la Sua santità; “Bisogna avere la massima cura affinché l’ira non prevalga, né domini come signora, ma sia una serva pronta ad obbedire e in nessun modo si sottragga a seguire la ragione” (San Tommaso d’Aquino).
C’è dunque un’ira che ci spinge a cercare la giustizia, a combattere il male in tutte le sue forme, che non si identifica con la rabbia fine a sé stessa.
Anche Gesù ha avuto la sua reazione furibonda quando cacciò via dal tempio i mercanti che avevano fatto di quel luogo santo un luogo di contrattazioni e usura, “Gesù entrò nel tempio e ne cacciò fuori tutti quelli che vendevano e compravano: e rovesciò le tavole dei cambiamonete e le sedie dei venditori di colombi” (Mt. 21,12).
È chiaro dunque che l’ira di Dio che leggiamo sui Vangeli e nella Sacra scrittura è un’ira finalizzata a difendere l’uomo dal male e dal peccato; Dio perdona tutti i nostri peccati, le nostre debolezze, è lento all’ira e ricco di misericordia, ma applica la giustizia perfetta, affinché noi, suoi figli, veniamo purificati.

Quando la nostra mente viene ottenebrata dal desiderio di vendetta, che può manifestarsi con scatti e tante volte con reazioni fisiche violente o anche con un linguaggio smodato ed offensivo, ecco che la superbia ha lanciato il suo amo: ci fa credere di essere superiori agli altri e perciò di meritare sempre il meglio, ma Dio ci ha dato un piano di recupero, la ragione e il pentimento.
Quanto sarebbe più salutare per noi e per chi ci sta accanto, riflettere un momento, portare pazienza e andare con la mente a Gesù, il nostro salvatore, colui che di pazienza verso noi peccatori ne ebbe tanta, fino a morire sulla croce innocente; conformiamoci alla Sua umiltà, «Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’ aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce.» Fil. (2,6-8).
L’umiltà in contrapposizione alla Superbia e la pazienza in contrapposizione all’Ira fanno di noi veri cristiani e guardando alla croce, ci introducono alla vita divina.
[1] Seneca, De ira, LIBRO I-I, 1; (tr. it. di A. Valli Picardi, Notari, Milano, 1928, pag. 29).
[2] Ibidem, LIBRO I, I, 2.
[3] Ibidem, LIBRO I, I, 7, (tr. it. pag. 31).
[4] Ibidem, LIBRO I, II, 1; (tr. it. pagg. 31-33).